Siamo alla quarta tappa del nostro percorso pasquale.
Questa quarta domenica coincide, tra-
dizionalmente, con la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Ogni anno, poi, la IV Domenica di Pasqua presenta un brano del Vangelo di Giovanni sul buon Pastore (Gv 10, 27-30). Dopo averci condotto, domenica scorsa, tra i pe- scatori, il Vangelo ci conduce tra i pastori. Due categorie, queste, di uguale importanza nei vangeli. Dall’una, infatti, deriva il titolo di “pescatori di uomini”, dall’altra quello di “pastori di anime”, dato agli apostoli e ai Pastori attuali.
Di Gesù buon pastore il brano evangelico mette in risalto alcune caratteristiche. La prima riguarda la conoscenza reciproca tra pecore e pastore: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (v. 27).
Agli occhi di Gesù ognuno di noi è unico e quindi vive un rapporto del tutto personale con lui.
Un’altra cosa ci dice del buon Pastore il bra- no odierno di Vangelo: Egli dà la vita alle pecore e per le pecore e nessuno potrà rapir- gliele (v. 28). L’incubo dei pastori d’Israele
erano le bestie selvagge – lupi e iene – e i briganti. In luoghi così isolati essi costitu- ivano una minaccia costante per il gregge. Questo era il momento in cui veniva fuori
la differenza tra il vero pastore – quello che pasce le pecore di famiglia, che ha la voca- zione di pastore – e il salariato che si mette a servizio di qualche pastore unicamente per la paga che ne riceve, ma non ama, e spesso anzi odia le pecore. Di fronte al pericolo, il mercenario fugge e lascia le pecore in ba-
lia del lupo o del brigante; il vero pastore affronta coraggiosamente il pericolo per salvare il gregge. Questo spiega perché la liturgia ci propone il Vangelo del buon pa- store proprio nel tempo pasquale: la Pasqua, infatti, è il momento in cui Cristo dimostra di essere il buon pastore che dà la vita per le sue pecore, soffrendo e morendo in croce. Presentandosi come il Buon Pastore, Gesù non si propone di fare di noi delle pecore sottomesse e soggette alla sua volontà. At- traverso questa immagine tradizionale egli vuole piuttosto sottolineare la sua vicinanza ad ognuno di noi. Con tutto il suo compor- tamento, con tutto il suo essere, egli incarna e rivela la bontà di Dio, la sua misericordia. Ai suoi occhi non costituiamo una massa
indistinta, ma egli è legato ad ognuno con una relazione personale, unica.
La sua voce si fa intendere e genera fidu- cia, induce a seguirlo senza alcun timore. Pur nella sua brevità, il vangelo, esprime quattro verbi che ci aiutano a cogliere quale deve essere e come è veramente la nostra relazione con Dio: Ascoltare, Ricono- scere , Seguire, dare la Vita eterna.
E’ l’itinerario cristiano che può essere tracciato da questi verbi che, da una parte, illuminano il brano del vangelo odierno e dall’altra diventano una chiara proposta
di una vita intesa come servizio. Ascoltare la parola e riconoscere la voce, metterci alla sua sequela per ricevere da Lui la vita, non una vita qualsiasi ma una vita che qualifica e caratterizza la nostra esistenza, è certamente l’esperienza che sta alla base del nostro rapporto con Dio e con i fratel- li. Soltanto quando tra gregge e pastore s’instaura un rapporto di relazione fatta di chiamata e di ascolto, allora la vita scorre nella sicurezza di arrivare alla sua massima fioritura.
Inoltre, in questo contesto storico, in cui la Chiesa soffre, in modo particolare, la man- canza di vocazioni sacerdotali, religiose e di speciale consacrazione, vivere intensa- mente una relazione di ascolto della voce del Signore porta, in tanti giovani, a colti- vare un desiderio di seguirlo nel servizio e nel dono di sé ai fratelli.
don Danilo Marin