RIFLETTENDO SUL VANGELO - IV DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO C

Il Padre, prodigo di amore

LETTURE:  Gs 5,91.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21;  Lc 15,1-3.11-32

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Il brano di Luca (Lc 15, 1-3. 11-32) che oggi, 4ª domenica di quaresima, ci viene proposto dalla liturgia, è certamente una delle pagine più belle di tutto il Vangelo.

1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3 Allora egli disse loro questa parabola:

11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17 Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29 Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

“Se mai dovessero perdersi i quattro Vangeli, che almeno si salvi questa pagina. Basterebbe!”. Così la pensava Charles Peguy che ben aveva intuito la centralità di questa racconto che aiuta a ritrovare quello che forse un po’ tutti abbiamo perduto, cioè Dio.

Questa pagina, allora, non è il racconto della parabola, detta comunemente, del figlio prodigo.

Il figlio che si allontana dagli affetti familiari e da casa non è lui il protagonista, ma è solo una figura che ha, per così dire, il compito di far emergere le qualità profonde del padre, il vero protagonista.

È disarmante, infatti, l’amore gratuito e incontenibile del vecchio genitore, il quale, per festeggiare il ritorno del figlio minore, fa macellare il vitello grasso, quello delle grandi occasioni; a rimarcare che il rientro a casa del figlio perduto è l’evento in assoluto più importante.

Quel figlio che ad un certo punto della sua vita dice al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta” (v. 12).

È la tentazione di sempre: quella, ad un certo punto dell’esistenza, di presentare il conto a Dio. Chi di noi, a volte, non prende le distanze da Dio. Anche a nostro Padre, Dio, noi diciamo: “Dammi la parte del patrimonio che mi spetta” quando pensiamo di fare senza di Lui, quando cerchiamo disperatamente la nostra autonomia da Lui sempre e solo a causa del nostro egoismo che ci porta a cercare e ad andare in “luoghi” che ci svuotano soprattutto interiormente. Luoghi nei quali dilapidiamo tutto, anche quei valori e quei beni che avevano arricchito la nostra vita. Luoghi segnati dalla carestia, per cui lontani da Dio e abbandonati a noi stessi veniamo privati anche di ogni speranza.

L’incresciosa situazione, perché partiti anche noi per un paese lontano, lontani, cioè, mille miglia dal vivere di Dio, fa scattare un meccanismo di ripensamento, suscita il desiderio di cambiare, e spinge la voglia di ritornare sui propri passi. La parabola del Vangelo descrive tutto questo con tre pennellate che mettono in luce tre atteggiamenti: “Allora ritornò in sé e disse… (v. 17)”; “Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò…” (v. 18); “Si alzò e tornò da suo padre” (V. 20).

I tre atteggiamenti del figlio ribelle dicono che anche il cammino della nostra conversione nasce dalla volontà di rientrare in noi stessi, di trovare uno spazio di silenzio per prendere in mano la propria vita, nasce dal riconoscere il proprio errore fino ad arrivare a maturare la decisione di un radicale cambiamento attuandolo subito in maniera concreta.

In questo tempo di quaresima ci viene chiesto un qualcosa che ci fa grandi: l’essere cioè disposti a riconoscere il proprio errore. “Il grande peccato – diceva P. Claudel – l’unico peccato dell’uomo è di credere alla propria sufficienza”.

Per Dio è importante cogliere in noi anche solo un accenno di pentimento, al resto pensa Lui. Non è l’uomo, infatti, che si salva con il suo pentimento, ma è Lui che salva. Nella parabola alle parole del figlio, il padre risponde con una serie di gesti che valgono assai di più delle parole. Il vestito bello indica la situazione di straordinarietà, i calzari che in quel tempo portavano solo poche persone, la dignità l’anello sul quale era impresso il sigillo di famiglia e infine l’uccisione del vitello e lo stare insieme a mensa la gioia della festa e della condivisione. A noi è dato di sperimentare tutto se siamo animati dal desiderio di ritornare a Lui, a quel Padre così grande e così buono che Gesù ci ha fatto conoscere, il vero prodigo della parabola, prodigo del suo immenso amore verso tutti.

 don Danilo Marin