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Quaresima (4): “l’elemosina”

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Oltre a rinsaldare il rapporto con il Signore nella preghiera, la Quaresima ci invita anche a rivolgere concretamente l’attenzione verso qualcuno che vive nell’indigenza, nella sofferenza e nell’abbandono. La carità verso i nostri fratelli bisognosi dà forma concreta al nostro essere cristiani.

“Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo. In proporzione a quanto possiedi fa’ elemosina, secondo le tue disponibilità; se hai poco, non esitare a fare elemosina secondo quel poco” (Tb 4,7-8).

Il termine più caratteristico che la tradizione cristiana ci ha consegnato è elemosina.

Il suo significato è nel linguaggio odierno molto ristretto, quasi dispregiativo: la sua pratica non sorpassa i piccoli doni. Ma originariamente significava un atteggiamento interiore: il sentimento di pietà e di compassione che porta a soccorrere chi è nel bisogno. Infatti la parola elemosina deriva dalla parola misericordia e compassione con cui Dio si prende cura dell’uomo peccatore e quindi bisognoso di amore compassionevole. L’invito all’elemosina attraversa tutta la Bibbia. Ecco qualche espressione: “L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato” (Tb 12,9). “L’acqua spegne un fuoco acceso, l’elemosina espia i peccati” (Sir.3,29). “Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità” (Dn 4,24).

San Pietro pone tra i frutti spirituali dell’elemosina il perdono dei peccati: “La carità copre una moltitudine di peccati” (1 Pietro 4,8).

Il Signore Gesù parla di elemosina e chiede di praticarla portando aiuto a chi è nel bisogno, condividendo i propri beni con i bisognosi. L’elemosina è intesa come un atto buono, espressione di amore verso il prossimo che, lungi dal ridursi a qualche episodica offerta di denaro, è assunzione di un atteggiamento di condivisione e di accoglienza. Chi ha compassione di un altro sente il suo male come proprio, se ne fa carico e cerca di porvi rimedio.

Basta “aprire gli occhi “, per scorgere accanto a noi tanti fratelli che soffrono, materialmente e spiritualmente.

L’atto del donare ci libera anche dall’attaccamento sfrenato alla ricchezza. San Paolo ricorda a Timoteo che l’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali e che per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede (1 Tm 6,10)!

Privarsi non solo del superfluo, ma anche di qualcosa di più per distribuirlo a chi è nel bisogno è pure un atto di fede e di obbedienza alle parole di Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno: aiuto, vicinanza, solidarietà, assistenza, dono del proprio tempo, preghiera. “Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,4).

 + Adriano Tessarollo