RIFLETTENDO SUL VANGELO - VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Superare le contraddizioni

LETTURE: Sir 27,4-7; Sal 91; 1Cor 15,54-58; Lc 6,39-45

LC6_39-45
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Con questa domenica, l’8ª del Tempo Ordinario, si chiude la prima parte di questo periodo liturgico. Domenica prossima saremo già nel tempo liturgico della Quaresima. Il brano del Vangelo di Luca (6, 39 – 45) lo possiamo agevolmente distinguere in tre parti, nelle quali viene esposto l’insegnamento di Gesù attraverso delle immagini molto significative: l’immagine dei due ciechi, quella della pagliuzza e della trave e quella dell’albero che si riconosce dai frutti che produce.
Le tre piccole parabole raccontate dal Maestro chiudono un capitolo nel quale Gesù aveva proposto ai discepoli il cuore, per così dire, del suo messaggio che riguarda l’amore del prossimo riassunto nella ‘regola d’oro’: “Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”.
Le tre parabole costituiscono tre brevi ‘detti’ dal sapore proverbiale che apparentemente non sono legati né al contesto né tra di loro, ma che denunciano le contraddizioni che si possono nascondere nella Comunità cristiana. Esaminiamo da vicino questi tre ‘detti’ di Gesù.
Il primo: “Può forse un cieco guidare un altro cieco?” (vv. 39-40). È un’affermazione rivolta non solo ai farisei ma anche a ciascuno di noi mettendoci in guardia dall’eccessiva fiducia che tante volte poniamo in noi stessi. Il discepolo deve, se vuole essere veramente di aiuto al proprio fratello, liberarsi dalla presunzione di essere giusto e lasciarsi illuminare dalla fede avendo come riferimento la vita, le parole, i gesti di Gesù, altrimenti rischia di essere simile ad un cieco che pretende di insegnare la strada ad un altro cieco. Possiamo, purtroppo, essere guide cieche quando pretendiamo di imporre agli altri i nostri punti di vista, i nostri criteri morali, come l’unico valido cammino di crescita. Con la presunzione di guidare gli altri, corriamo il rischio di renderci responsabili del fallimento del loro cammino. Solo se si ha l’umiltà di riconoscere la propria cecità e di accogliere la luce, che ci dona Gesù, la luce della misericordia divina, si può camminare verso il vero traguardo, che è l’abbraccio del Padre. È, in fondo, il cammino della conversione. Soltanto se ci si pone in stato di conversione, si può essere di aiuto e guida agli altri.
Il secondo ‘detto’: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (vv. 41-42). Gli scribi e farisei peccavano di assurdità. Erano bravissimi nel segnalare anche le più leggere trasgressioni della legge degli altri, però si ostinavano nel mantenere nel loro occhio la trave, cioè la trasgressione.
Quanto è vero anche per noi! Gesù richiama la necessità fondamentale di cominciare sempre da sé. Quanto, infatti, siamo pronti a rimproverare atteggiamenti, a puntare il dito su certi modi di fare degli altri, a volte non proprio corretti, e invece soprassedere sui nostri modi di comportarci, sui nostri difetti!
Insomma chi non riconosce il suo bisogno della misericordia di Dio, chi non riconosce quel che la misericordia di Dio gli ha perdonato, non è in grado di correggere gli altri, per renderli più fedeli a Dio. La correzione fraterna, infatti, è praticabile solo da chi si riconosce figlio perdonato dal Padre misericordioso e quindi fratello tra fratelli.
E, infine, il terzo ‘detto’: “Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, ne vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono” (vv. 43-45): è un dato di natura. Dalla natura dell’albero dipende il tipo di frutto. Dal frutto, che raccogli, capisci di quale albero si tratti. Domandiamoci: portiamo il frutto dello Spirito, o produciamo le opere della carne? Dall’uomo buono, parole e azioni buone. Dall’uomo cattivo, il contrario.
Lasciamoci provocare, ancora una volta, dalle parole di Gesù, ci spoglieremo dalle nostre mediocrità per camminare spediti nella via indicataci che dà senso alla nostra esistenza.

don Danilo Marin