RIFLETTENDO SUL VANGELO -  III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

La missione di annunciare e liberare

LETTURE:  Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal 18;   1Cor 12,12-30;  Lc 1,1-4; 4,14-21

Lc-1-1-4-4-14-21
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Con il testo evangelico di questa terza domenica del tempo ordinario (Lc 1,1-4; 4,14-21) ha inizio, stando al vangelo di Luca, che ci accompagnerà durante questo anno liturgico, la narrazione dell’attività pubblica di Gesù. L’inizio del ‘ministero di Gesù’ l’evangelista lo colloca a Nazareth, tra i suoi concittadini, dove era cresciuto.

La scelta, poi, di Gesù di alzarsi a leggere e di commentare quanto letto gli offre la possibilità di esporre ai presenti la sua missione. Infatti, dopo aver letto il testo del profeta Isaia (cap. 61), prende la parola con una affermazione importantissima e solenne: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato nella mia stessa persona” (v. 21). Gesù, dunque, a coloro che lo ascoltavano Gesù si presenta con una duplice missione, quella di annunciare e quella di liberare: “Lo Spirito mi ha inviato a dare una buona notizia ai poveri, ad annunciare un mondo in cui finisce ogni forma di oppressione” (v. 18).

La sua missione è anche la vocazione di tutta la Chiesa, è la missione di ogni battezzato nella Chiesa: ciascuno di noi, infatti, in virtù del proprio battesimo condivide la missione profetica di Gesù.

L’annuncio a cui anche noi tutti siamo chiamati è un incarico, una missione, una responsabilità; ed è quindi anche un dovere proporzionale al tipo di missione ricevuta. È il dovere che dal Cristo, per mezzo degli Apostoli, si diffonde a tutta quanta la Chiesa.

Capiamo anche che pur essendo un dovere, tuttavia non è un compito facile, né un compito che promette soddisfazioni, né un compito a cui ci si sobbarchi come a un diversivo, ma è un incarico duro e difficile, che richiede soprattutto costanza e fedeltà; proprio come il seme della parabola evangelica, che appunto porta frutto nella costanza e nella pazienza. Non essendo né un’opera facile, né un’opera che ci siamo presi da noi, è un’opera nella quale è importante perseverare, malgrado le difficoltà, nella fedeltà a Cristo che ci invia ad annunciare.

Qui Gesù ci invita ad evangelizzare i poveri. La promozione umana, quindi, è parte integrante e quindi costitutiva della evangelizzazione. Il testo di Isaia indica con chiarezza che l’annuncio messianico della venuta in mezzo a noi del Regno di Dio va particolarmente nella direzione degli uomini che normalmente sono emarginati: perché poveri, prigionieri, disgraziati, oppressi, emigranti. Madre Teresa di Calcutta diceva ad un certo punto della sua vita: “Ho sentito intensamente che Gesù voleva che io lo servissi nei poveri, negli abbandonati, abbracciando un genere di vita che mi rendesse simile ai bisognosi: perché è là che egli vive ed è presente”. Con il Battesimo siamo stati chiamati anche a ‘lottare’ perché finisca ogni forma di oppressione nel mondo. Viviamo, infatti, in un mondo globalizzato, dove la marginalità, lo sfruttamento e l’ingiustizia sono purtroppo, oggi, dilaganti. Il divario tra i ricchi e i poveri si acuisce. Il benessere economico diviene un fattore decisivo nelle relazioni tra i popoli, le nazioni, le comunità. Le questioni economiche spesso scatenano tensioni e conflitti tra loro. E’ difficile vivere in pace se non c’è giustizia. Il problema serio della Chiesa oggi è proprio quello di offrire un messaggio che raggiunga il cuore della gente, trovare, nelle nostre assemblee liturgiche, forti motivazioni al nostro impegno di credenti, che aiutino a capire che l’amore evangelico non è fatto di buoni sentimenti soltanto, ma di una solidarietà che porti ad uno stile di vita che non uccida, nei poveri, la speranza di una esistenza più umana e dignitosa. A ciascuno di noi è affidata questa missione di annunciare e di adoperarci per promuovere l’uomo. Chiediamo al Signore di poter dire (assieme a Gesù): “Questo comincia a diventare vero nella nostra Comunità” che in concreto dice: non basta ascoltare la Parola, non è sufficiente nemmeno rifletterci sopra, bisogna operare in modo fattivo ciò che la Parola chiede al nostro impegno, senza difenderci, per pigrizia, dalla concretezza del Vangelo.

don Danilo Marin