SGUARDO PASTORALE

Parola e comunità

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È ciò di cui i nostri ragazzi hanno bisogno, secondo il vescovo Adriano, che sabato scorso ha aperto l’assemblea diocesana dei catechisti ed animatori commentando l’episodio lucano dello smarrimento di Gesù tra i maestri nel tempio: un accostamento più frequente e sistematico alla Parola di Dio e la presenza di una comunità costruita su una fede autentica, vissuta e testimoniata. Educare infatti non vuol dire trasmettere una dottrina ma introdurre in una esperienza capace di rispondere alle esigenze primarie della natura umana: il bisogno di felicità, di amore, di orientamento per le proprie scelte. José Luis Moral, docente all’Università Pontificia Salesiana, è riuscito a comunicare questa convinzione con una lezione magistrale, anche per l’accattivante stile comunicativo che ha usato.

Allora è chiaro che non possiamo più continuare a proporre lezioni di catechismo, è ovvio che il contesto non possono restare le aule, emerge con forza la necessità di investire nelle relazioni. Viene interpellata ancora una volta la pastorale, troppo facilmente appiattita proprio sul cammino catechistico dei fanciulli in vista della celebrazione dei sacramenti.

L’itinerario di Iniziazione cristiana, e in particolare la fase mistagogica, non sono attività a sé stanti, affidate a persone volonterose, giovani e non più giovani, magari attrezzate di strumenti e tecniche nuove. Sono la vita della comunità e coinvolgono tutte le sue espressioni, da quella liturgica a quella caritativa, da quella culturale a quella sociale. Protagoniste principali sono le famiglie, ma, soprattutto nell’età della preadolescenza, anche le associazioni, i gruppi di appartenenza o quelli che sviluppano qualche servizio.

Un ruolo fondamentale comunque rivestono gli educatori, chiamati a testimoniare l’amore per i ragazzi e la loro vita, a partecipare alla loro ricerca in un processo di crescita sia pur asimmetrico ma condiviso, a narrare la storia della salvezza che a partire dalla Scrittura si dipana nel vissuto dei credenti, nelle relazioni che essi intessono con gli uomini e con Dio.

Ecco un termine, assieme a tanti altri, di cui appropriarci, per definire la persona e la missione del catechista: educare. Di per sé è un verbo transitivo – spiegava il salesiano – ma da interpretare in senso intransitivo. Educare infatti vuol dire vivere, crescere, uscire, fiorire, fruttificare, accogliere la sfida dell’incontro con la persona di Cristo Gesù che ti libera dalla paura, dall’insoddisfazione, dall’insicurezza e ti ricentra, ti rilancia, ti verifica.

L’obiettivo è quello di traghettare da una fede da bambino a una fede da adulto, da una fede ricevuta a una fede scelta e integrata nell’organizzazione della propria identità e della propria vocazione. Anche il presbitero ha la sua funzione in questo processo. Potrebbe essere descritta con l’immagine della bussola. Nella navigazione che impegna tutti da veri protagonisti, egli indica la rotta, offre i mezzi soprannaturali, rende presente la misericordia, manovra a livello di timone per tendere le vele al vento dello Spirito che spinge al largo e rende più spedita e sicura la rotta. Parola e comunità sono la sua passione, la sua ragione di vita, sono ciò che ricerca e ciò che comunica.

don Francesco Zenna