PAROLA DI DIO - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B

Cosa chiediamo noi al Signore?

LETTURE: Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52  

vangelo
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A Lourdes, dove mi reco ogni anno per il servizio alle Confessioni, ha sempre attirato la mia curiosità, nella stradina che scende dalla Basilica Superiore alla Grotta, un piccolo monumento che raffigura un cieco che in ginocchio abbraccia una croce. Alla base del monumento è scritto così: Ritrovare la fede è più che ritrovare la vista. Queste parole le ha fatte scrivere una donna italiana che ha regalato il monumento e che a Lourdes ha ritrovato la fede ed ha capito quanto fosse importante chiedere prima di tutto il dono della fede al di là di tante altre grazie, pur necessarie. Il Vangelo di questa domenica (Mc 10, 46-52), attraverso l’ultimo dei miracoli raccontati da Marco, ci aiuta proprio a implorare, ad accogliere e rendere più viva la luce della Fede, cioè il nostro rapporto vitale con il Signore Gesù. Lo stile di questo racconto non è usuale: esso infatti punta l’attenzione sul comportamento di colui che ha bisogno e che nel brano del vangelo viene identificato con un nome proprio, Bartimeo: “Un uomo, di nome Bartimeo, sedeva lungo la strada a mendicare” (v. 46). Era, cioè, uno dei tanti disgraziati di questo mondo. Era cieco, non poteva fare altro che mendicare e mettersi ad urlare quando sente passare Gesù, nonostante tutti gli altri tentassero di farlo tacere. Gesù opera il miracolo dopo aver messo in luce il coraggio e la fede di questo cieco capace di vincere tutte le resistenze. Per correre incontro a Gesù, infatti, Bartimeo getta a terra persino il suo mantello, l’unica copertura e difesa che gli era rimasta. Bartimeo diventa così l’icona del vero credente che si fida di Gesù ancor prima di ricevere quel che chiede. Ecco allora che l’episodio narratoci nel vangelo di oggi non è solo la descrizione di una guarigione, ma anche il prototipo del discepolo e del suo cammino e ci invita a ripensare un po’ alla nostra vita di fede, perché anche noi, tante volte, nel nostro cammino al seguito di Gesù siamo chiamati a passare dalla cecità alla luce della fede. Anzi, si può dire che l’esperienza della fede per ciascuno di noi è innanzitutto prendere consapevolezza della nostra cecità che ci fa, spesso, brancolare nel buio. Qualcuno, commentando questo passo, ha scritto: “il peggio che ci possa capitare è di innamorarci della nostra cecità” anche nel campo della vita cristiana. Inoltre è trovare il coraggio di gridare il proprio bisogno di salvezza, opponendoci a quanti, e purtroppo sono tanti oggi attorno a noi, tentano di distoglierci dall’andare verso la fonte della salvezza. È non tergiversare nel “gettare subito via il mantello” cioè nello sbarazzarsi di ciò che può costituire un impedimento ad accogliere l’invito e correre incontro al Signore. È saper cogliere quell’attimo particolare e preciso per cambiare la propria vita che ci fa capire che non c’è nulla che valga più di Gesù. Infine è metterci prontamente alla sua sequela dopo aver ottenuto e gustato la luce della fede.

Ecco che l’incontro con Gesù ci consente, da una parte, di tornare a vedere più chiaramente, dall’altra, ci immette su un cammino non necessariamente facile e consolatorio. La risposta, infatti, di Bartimeo al miracolo ricevuto è quella del discepolo che prese a seguirlo lungo la strada. E la strada, non bisogna dimenticarlo, è quella che stava portando Gesù a Gerusalemme e al Golgota.

La cecità di Bartimeo non gli ha impedito di essere attento con l’udito, sente che sta passando Gesù e percepisce che la vita può ripartire, per questo gli grida forte per farsi sentire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. E Gesù chiamandolo a sé e domandandogli “Cosa vuoi che io ti faccia?”, gli fa comprendere che il suo credere in Lui, che quel gridargli tutta la sua angoscia può veramente moltiplicargli la vita. Proviamo a pensare se anche a noi il Signore, che come discepoli suoi desideriamo incontrare e che in tanti modi ci passa accanto, come a Bartimeo chiedesse: “Cosa vuoi che io ti faccia?”. Cosa abbiamo il coraggio di chiedere al Signore? Che cosa desideriamo veramente? Che cosa speriamo? Che cosa chiediamo nella preghiera? La risposta la troviamo solo se abbiamo il coraggio di percepire, giorno per giorno, la sua presenza; solo se entriamo in dialogo con Lui, che risveglia i desideri giusti e corregge quelli sbagliati; se prendiamo coscienza di ciò che, veramente, dobbiamo desiderare per essere davvero sempre più noi stessi e vivere la vita in abbondanza.

don Danilo Marin