PAROLA DI DIO - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B

La paura è il contrario dell’amore

LETTURE: Sap 7,7-11; Sal 89; Eb 4,12-13; Mc 10,17-30

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Molte volte mi è capitato, negli incontri di discernimento vocazionale con dei giovani, di leggere e commentare questo brano del Vangelo di Marco 10, 17-30. La domanda posta dall’uomo ricco riguarda non solo chi si trova nella condizione di scegliere la vita sacerdotale o religiosa ma riguarda tutti: è in gioco il tema della sequela di Gesù e di ciò che essa comporta, soprattutto sull’uso e il possesso dei beni. Alla luce del vangelo ascoltato diciamo subito che anche in noi alberga un ineludibile bisogno di pienezza di vita e un desiderio di felicità.

È proprio quello che quel tale chiede avvicinandosi a Gesù: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” (v. 17). Nell’espressione vita eterna sono, infatti, condensati la benevolenza divina e il forte desiderio di felicità dell’uomo. Anche se nella risposta Gesù fa intendere a quel tale che in fondo non c’è nulla che possiamo fare per avere la vita eterna, in quanto non la dobbiamo meritare perché è dono che viene da Dio, “… nessuno è buono se non Dio solo” (v. 18), pur tuttavia Gesù ammira il desiderio profondo di vita e di felicità che quel tale manifestava correndogli addirittura incontro per supplicarlo.

Ma c’è un atteggiamento che diventa la chiave per comprendere il desiderio di vita e felicità che, da una parte, rivela l’ammirazione da parte del Maestro per il già vissuto, dall’altra la forza di una proposta che può cambiare radicalmente la vita: “Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca, va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e poi vieni e seguimi” (v. 21). La chiave di volta sta in quei cinque imperativi: “va’, vendi, dallo, vieni e seguimi” suggeriti da Gesù con uno sguardo che esprimeva tutto l’amore nei suoi confronti e quanto gli stesse a cuore la domanda di vita piena e di felicità che portava dentro. È, in fondo, la stessa strada dell’amore che Gesù indica anche a noi.

Anche noi, infatti, come il tale del Vangelo di oggi, siamo delle persone per bene che corriamo incontro a Gesù, interiormente mossi da un autentico desiderio di avere in eredità la vita eterna, anche noi osserviamo i comandamenti fin da piccoli e il Signore Gesù anche in noi riconosce la sincerità dell’impegno cristiano, ma ecco che può giungerci chiara e perentoria la sua proposta, l’invito cioè a lasciare, a liberarci di ciò a cui siamo troppo attaccati, forse superfluo, a spogliarci del nostro egoismo per metterci sui suoi passi e seguirlo. Quel tale non si è sentito di accettare una simile proposta e se ne andò, annota il vangelo, triste; aveva troppe ricchezze, portava addosso il peso dell’attaccamento ai beni. È uno, in fondo, che ha imparato ad osservare i comandamenti come fredde regole, ma non ha imparato cosa significhi amare, dare e donare gratuitamente.

Anche noi, a volte, siamo convinti di aver un cuore libero, ma in realtà è imprigionato, legato ai beni; beni che possono riguardare cose materiali ma anche progetti personali che assolutizziamo, ambizioni sbagliate che ci impediscono di corrispondere alla volontà di Dio. La paura è il contrario dell’amore. Quando ci blocca la paura di perdere qualcosa per amore di Dio o degli altri, è perché quel qualcosa ci possiede, ci sta purtroppo schiavizzando. “Una cosa sola ti manca …”, ripete anche a noi Gesù fissandoci con il suo sguardo di amore.

Cos’è che ci manca per vivere la nostra vita in pienezza?

Ci manca la volontà di liberarci dalla tentazione del compromesso: siamo troppo abituati a negoziare, ad ottenere degli sconti, a minimizzare le esigenze evangeliche. Questo brano evangelico narra certamente un fatto noto e lo leggiamo come racconto di vocazione di un giovane: una vocazione mancata e che ha provocato una grande tristezza. È anche una pagina, però, che fotografa nitidamente cosa avviene nella vita di tutti i giorni quando anche noi cerchiamo di incontrare il Signore Gesù. L’esperienza più bella che ci auguriamo di vivere è proprio quella di lasciarci ‘fissare’ da Lui perché in questo incrocio di sguardi troviamo il significato pieno della nostra esistenza.

 don Danilo Marin