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Tra il dire e il fare…

A proposito di promesse elettorali, di governo e di opposizione

vescovo-san-domenico
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“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!” -ci diceva un vecchio proverbio popolare. Oppure anche “una cosa è dire, altra cosa è fare!” C’è un tempo per fare promesse, un tempo poi per mantenerle. Che se non vengono mantenute significa che si è parlato molto, magari senza cognizione di causa, oppure con precisa cognizione di causa sapendo cioè che si offrivano parole che poi non avrebbero potuto essere mantenute.

Non è da ieri che in tutte le campagne elettorali ascoltiamo grandi promesse, cui dopo corrispondono piccole o nulle realizzazioni, o per calcolo o per calcolo sbagliato. Il calcolo è quello per cui si dice: intanto raccogliamo il consenso poi faremo quello che ci interessa; questa è astuzia politica. Il calcolo sbagliato è quello di promettere molto, sperando di fare tutto quello che si promette; questa è inesperienza.

A volte concorrono insieme astuzia politica e inesperienza. I proverbi codificano un insegnamento frutto di lunga osservazione in ogni ambito della vita. Ma spesso si pensa ad essi solo dopo che se ne vede la realizzazione, mentre essi dovrebbero avere proprio lo scopo di prevenire errori, abbagli o inganni. Ma già, “del senno di poi sono pieni i fossi”   scriveva qualcuno. Finita la pausa estiva, si ricomincia il lavoro, la scuola, la vita sociale, la vita associativa, etc. E anche il sottobosco pre-elettorale si rimette in moto per tempo, in vista delle consultazioni europee o altre minori.

E ognuno usa tutti i mezzi che ha a disposizione, o quelli governativi in relazione alle promesse fatte o alle attese del popolo, o quelli dell’opposizione segnalando l’inadempienza delle promesse o facendo ogni sorta di opposizione perché quelle promesse o attese non si realizzino. Sembra che l’attenzione dei partiti sia più concentrata sul tornaconto elettorale che sul bene comune. Anche la ricerca delle persone da candidare segue lo stesso scopo anziché quello della moralità, della competenza, della fiducia dimostrata. Invece la scelta delle candidature cade su persone che possono portare più voti, o che possano ‘spaccare’.

La gente fa poi una enorme fatica ad orientarsi perché le agenzie dell’informazione, più che presentare i fatti, presentano una certa lettura dei fatti, non presentano tutti i fatti ma solo quelli, o evidenziando principalmente quelli che portano acqua al proprio mulino. Anche il lettore in genere nel leggere cerca il consenso di quanto già pensa, e lo cerca leggendo sempre lo stesso giornale o attingendo sempre alle stesse agenzie di informazione che ha scelto perché lo confermino nelle sue idee.

Ma non dovremmo chiederci cosa vogliono i cittadini nel concreto? Ai cittadini interessa il “Bene Comune”, che per essere tale deve equilibrare le risorse perché a nessuno manchi il necessario e ognuno possa mettere a frutto i suoi talenti produttivi, economici, educativi, sociali e politici. Governare vuol dire non pensare principalmente al proprio orticello, ma offrire una progettualità di scelte lungimiranti per lo sviluppo sociale e culturale di tutto il Paese, pensare al futuro dei giovani, risolvere i problemi reali che angustiano la vita concreta delle persone, di tutte le persone.

Dove si forma oggi la classe politica del domani? Chi detiene ‘guida, governa e dirige’ il pensiero culturale delle Società e degli Stati? Chi si occupa della formazione della retta coscienza umana e sociale delle persone, in mancanza della quale prevarrà nel sociale, nel civile e nel politico la legge della ‘giungla”, cioè del più furbo e del più forte?  E’ questo un grave interrogativo anche per la Chiesa e per il suo compito nel mondo.

+ Adriano Tessarollo