PAROLA DI DIO - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B

La sequela di Cristo ci spinge a crescere

LETTURE: Sap 2,12.17-20; Sal 53, Gc 3,16-4,3, Mc 9,30-37

gesù
Facebooktwitterpinterestmail

Nel Vangelo di questa domenica (Mc 9, 30-37) troviamo di nuovo l’annuncio della Passione e morte di Gesù, già ascoltato una settimana fa.

Perché un secondo annuncio?

Beh, forse perché, nonostante il duro rimprovero di Gesù a Pietro che faticava ad ascoltare un simile annuncio e tentava di distogliere il Maestro da questo ‘progetto’, i discepoli faticavano ancora a capire ed erano ben lontani dal pensare ad una fine così ignominiosa: “Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione” (v. 32).

Essi non hanno il coraggio di interrogare Gesù perché stentano a capire che Gesù considera la sua missione in maniera completamente diversa da loro; essi, infatti, speravano che lui fosse il nuovo Davide venuto a restaurare l’antico regno.

Non avevano ancora capito che Gesù è il Figlio dell’uomo inviato dal Padre a dare la vita appeso ad una croce.

Nel brano di oggi troviamo Gesù in cammino verso Gerusalemme, è lì che si compiranno i giorni del tradimento, della passione e della morte in croce, ed è proprio lungo il cammino che il Maestro istruisce i suoi discepoli illuminandoli ancora di più a considerare il peso della perentoria e schietta risposta di Pietro che poco prima, a Cesarea di Filippo, lo aveva riconosciuto come il Cristo, il Messia.

Gesù allora prende l’iniziativa e, in casa, nella tappa a Cafarnao, chiede loro: “Ma di che cosa stavate discutendo lungo la via?” (v. 33).

Ci viene da sorridere: i discepoli stavano camminando con Gesù, ma lo avevano tenuto all’oscuro sui loro discorsi. Fisicamente erano con lui, ma i loro pensieri erano altri, “Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande” (v. 34).

È il cammino parallelo che i discepoli continuano a percorrere: Gesù annuncia la sua Passione e decisamente si dirigeva verso Gerusalemme; loro, invece, discutevano su chi fosse il più grande. Nei loro pensieri albergava l’ambizione, il successo, la gloria e non potevano che essere abbagliati da tutto questo.

È interessante quanto avviene in casa a Cafarnao.

Gesù chiama i Dodici anche se erano già con lui: Gesù, ‘chiamandoli’, li spinge a prendere coscienza del loro essere discepoli di Uno che ha accettato di fare della sua vita un dono e quindi a non inseguire sogni di gloria e di successo. Infatti li ammaestra così: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (v. 35), e per essere più chiaro ancora compie il gesto di prendere un bambino e di porlo nel mezzo. Può sembrare strano, ma, a ben capire, non lo è: i Dodici sono chiamati, il bambino invece non viene chiamato, è già lì, perché lui, proprio perché è l’ultimo di tutti è già ‘vicino’ a Gesù.

E Gesù, abbracciandolo, mostra concretamente com’è lontano il modo di pensare degli Apostoli con il suo modo di pensare. Il gesto dice che la gerarchia nel regno dei cieli è come una scala rovesciata: colui che è grande è piccolo, e viceversa; e chi è primo è l’ultimo, e viceversa.

Quanto anche noi, a volte, siamo vicini al modo di fare e di pensare dei Dodici!

La sequela, infatti, parla di servizio, di dono, del perdersi; e noi, invece, facciamo di tutto per denigrare e demolire chi ci sta accanto per arrivare ad essere noi i primi, malati come siamo di protagonismo. Gesù dice che i primi saranno gli ultimi e viceversa; noi, invece, viviamo la ricerca spasmodica di apparire sempre di più e sgomitiamo per essere considerati. Gesù parla di croce, di sofferenza, di abbandono alla volontà di Dio; noi le nostre croci quotidiane fatte talvolta di sofferenza, di non senso, di rifiuto, di crisi facciamo fatica ad accettarle e preferiamo metterle sulle spalle degli altri, rifiutandole.

Dobbiamo ammetterlo, nella sequela del Cristo, anche il nostro è un cammino, spesse volte, parallelo e così, chiusi nella nostra ipocrisia, stentiamo a camminare e a crescere rimanendo talvolta, nella nostra vita cristiana, ai blocchi di partenza.

don Danilo Marin