SGUARDO PASTORALE

Cura generosa e gratuita

alessandro d'avenia
Facebooktwitterpinterestmail

Sono stato sollecitato da un amico insegnante a leggere l’articolo che Alessandro D’Avenia ha scritto lunedì 3 settembre sul Corriere della sera. Il titolo? “Non crollano solo i ponti”. Il passaggio più significativo, che costituisce il cuore della riflessione? «Come i ponti, anche le anime possono crollare per incuria». Il messaggio è rivolto agli insegnanti perché prendano coscienza che sono chiamati non soltanto a trasmettere delle nozioni ma a formare delle persone, e a farlo con generosità, «che ha la stessa radice di generare». Perché, precisa il giornalista, «la relazione educativa o è generativa, amplia cioè il naturale desiderio di far esperienza della realtà, o è degenerativa, chiude il desiderio, annoia, spegne il coraggio e la curiosità». È chiaro che queste considerazioni hanno valore per qualsiasi rapporto educativo, non ultimo quello della comunità cristiana. Una ragazza, intercettata nel suo disagio a fine lezione, scrive: «Vorrei chiedere a tutti i professori di fermarsi, anche solo un attimo, di alzare lo sguardo dal registro e guardare negli occhi i ragazzi. Non limitatevi a segnare l’assenza, ma chiedetevi se veramente gli studenti sono lì, chiedete loro come stanno, dando peso alle risposte perché, spesso, noi ragazzi diciamo che va tutto bene, anche quando stiamo morendo dentro. Il vostro compito non è esclusivamente spiegare, interrogare e valutare. Voi siete in grado di vedere più lontano dei genitori: a scuola proprio perché ci si sente invisibili emergono le più piccole debolezze. Avete idea di quanti ragazzi nuotino controcorrente senza scoprire le proprie capacità? Quanti credono di essere inutili? Mi capita di pensare a come sarebbe andata a finire se quel giorno la mia professoressa non mi avesse fermata e non mi avesse guardata negli occhi. Forse oggi non sarei qui».

Ho anche in queste settimane l’occasione di celebrare il sacramento della Cresima e, mentre compio i riti dell’imposizione delle mani e della crismazione, cerco di incrociare gli occhi di quei ragazzi, di trasmettere loro, assieme all’azione efficace dello Spirito, la percezione che la Chiesa desidera farsene interprete. «Un adolescente si decide a maturare se sente che un adulto vuole farsi carico della sua vita, perché così scopre che è buona, e il suo coraggio si attiva vincendo la paura, perché vede un altro impegnato per lui». Attraverso le loro domande, sovente mute, i giovani chiedono che sia indicato loro il senso, la chiamata/vocazione alla vita. Sì, la vocazione che vorrebbero ascoltare e discernere è la vocazione alla vita, che è la chiamata unica e irripetibile per ogni persona da parte di Dio, anche nella fede cristiana. Come tutti gli umani, anche i giovani sono chiamati a vivere in pienezza, a fare della propria vita, per quanto è possibile, un’opera d’arte consapevole: chiamati dunque alla felicità, perché la vita buona e bella sa anche dare la felicità. Nessuna visione banalmente ottimistica sul “duro mestiere di vivere”, ma se questo invito alla vita è rivolto a un giovane da chi ha fiducia e comunica fiducia, se è fatto nella piena gratuità, non per farlo entrare nella Chiesa, non per farne un discepolo, ma perché si vuole che diventi un soggetto capace di pienezza di vita, allora l’appello è veramente credibile. Solo degli adulti capaci di fiducia e dunque di fede sanno anche mostrare la gratuità della loro cura dei giovani e sono capaci di fare strada insieme a loro, verso la vita. A insegnanti ed educatori una ragazza chiede: «Ditemi per cosa posso giocarmi la vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi vedere il ventaglio di possibilità. Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi?».

don Francesco Zenna