SGUARDO PASTORALE

La forza della gratuità

Gratuità
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“Perché lo fai?”. C’è sempre un perché che ti muove. Nella maggioranza dei casi riguarda un tornaconto personale. “Mi comporto bene con gli altri perché anche gli altri si comportino bene con me!”. Il ragionamento è corretto e riflette la realtà; pur tuttavia nasconde un sottile interesse, perché in fondo l’obiettivo resta il “mio” bene. Non parliamo poi della difesa delle proprietà, della salvaguardia dei propri diritti, della ricerca di tutti i vantaggi di cui si può godere. Si arriva perfino a soffrire quando altri si avvantaggiano là dove noi non siamo riusciti. Oppure a opporre dei rifiuti quando ci vien chiesto di perdere qualche privilegio per favorire qualcuno. È il contrario della gratuità, di quel sentire positivo che ti abita quando fai qualcosa per gli altri senza aspettarti nulla in cambio.

Proprio come dice Gesù: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti». La beatitudine della gratuità! Senza stucchevoli nostalgie è bello ricordare quegli anni ’60, che stanno ormai entrando nella storia, in cui, accanto alla contestazione, una generazione nuova aveva scommesso sulla forza della gratuità e poneva gesti capaci di profezia, soprattutto a favore delle categorie più disagiate: le famiglie della Casa del pescatore, le orfanelle di Isola Morin, gli anziani di Calle Muneghette. Bastava una serata in compagnia, un’ora di doposcuola, una chitarra e tanta voglia di donare quello che a propria volta si aveva ricevuto. Ancora di più. Erano gli anni del servizio civile alternativo a quello militare, gli anni del volontariato in Italia e all’estero, gli anni delle manifestazioni a favore della pace e del superamento di ogni forma di diseguaglianza. I personaggi che hanno educato quella generazione hanno pagato di persona l’idealità che li muoveva: Gandhi, Martin Luther King, John Kennedy, Madre Teresa.

Ci sono senz’altro anche oggi, ma non sono quelli di cui parla quotidianamente la cronaca, capaci di entusiasmare per le loro idee di difesa, di chiusura, di salvaguardia piuttosto che di fiducia, coraggio e speranza. Due modelli contrastanti che il giovane ha davanti e su cui è chiamato a fare discernimento. Molti giovani non credono che si possa agire senza un interesse: pensano che ci debba sempre essere un qualche tornaconto materiale. L’idea della gratuità non c’è.

La gratuità, invece, è il senso della vita. Se siamo su questa terra è perché abbiamo avuto il dono di esistere, il dono di tutto ciò che ci circonda, il dono di amare. Tutto questo è gratuito, sono tutte cose da vivere con gratuità. Questa idea sembra non esistere più e ritorna la domanda: “Cosa mi dai, cosa mi viene in cambio, quale vantaggio ne ricavo?”. Sembra inconcepibile che si posa fare qualcosa gratuitamente: la gente non crede che ci sia qualcuno che si muove solo per un sentimento di condivisione e di amore, senza un proprio tornaconto personale. Perciò il bene viene visto con sospetto, vissuto con fastidio, mal sopportato. L’amore vero, non il “vogliamoci bene”, richiede forza. “Siamo una società decaduta – scrive Susanna Tamaro – come un impero dopo l’invasione.

Un popolo che non sa educare alla gratuità è un popolo decaduto”. Ecco ciò di cui dobbiamo aver paura, delle nostre paure che chiudono gli orizzonti e fanno guazzare nel ristagno di un benessere senza ideali.

don Francesco Zenna