Meno preti, quale prete?

zenna-Francesco
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SGUARDO PASTORALE

Meno preti, quale prete?

In queste settimane sono diversi i sacerdoti che celebrano l’anniversario della loro ordinazione. Ho colto l’occasione, in questo tempo di crisi anche per le vocazioni al ministero ordinato, per fare una riflessione sulla missione pastorale del presbitero. Già in questi due termini (pastorale e presbitero) è racchiusa la ricchezza di questa speciale chiamata. Questi termini richiamano infatti due figure bibliche di grande spessore sia dal punto di vista sociale che religioso: il pastore e l’anziano.

Il “pastore”. Al di là di una certa visione bucolica che lo immagina e descrive tra il verde dei prati, circondato da uno stuolo di bianche pecorelle, essere pastore è sinonimo di responsabilità e dedizione. Innanzitutto la responsabilità di una guida, di colui cioè che conosce la meta, anticipa il gregge per indicare la strada e prevenire i pericoli, di colui che traccia il percorso investendo sulla propria esperienza e sulla ricerca di vie nuove sempre più conformi al Vangelo. Poi la responsabilità dell’evangelizzatore, di colui cioè a cui è stato affidato il tesoro della conoscenza di Cristo Gesù perché ne faccia partecipi i fratelli con la sua parola e la sua persona. E ancora la responsabilità del custode, custode di quella grazia che attraverso la preghiera e i sacramenti mette in relazione con il Dio della misericordia e della vita. Responsabilità. E dedizione. Innanzitutto la dedizione della presenza, che costituisce l’azione pastorale più efficace, perché può contare sulla persona nella sua interezza e non solo nelle sue funzioni ecclesiastiche. E di conseguenza la dedizione della cura, con cui la presenza si fa prossimità, capacità di comprendere e di rispondere agli appelli che vengono dalle fragilità fisiche e morali dei singoli e delle famiglie, delle stesse istituzioni. E ancora la dedizione della consolazione, che si sostanzia di ascolto, di comprensione, di accompagnamento, di integrazione.

Il secondo termine è “anziano”, significato della radice greca del termine presbitero. Anziano, non di età, ovviamente, ma di autorevolezza, che è diverso da autorità o, peggio, autoritarismo. L’autorevolezza si esprime nella rettitudine del comportamento ed ha una rilevanza anche sociale; si esprime nella radicalità evangelica ed ha una forte rilevanza religiosa; e ancora nella sensibilità umana, che struttura le relazioni con la virtù della pazienza, della mitezza, della solidarietà.

Pastore e anziano. Ad entrambe queste figure è legato anche il senso del rispetto e della venerazione da parte del popolo di Dio, espressi in termini di fiducia (stima, attenzione), di accompagnamento (preghiera, vicinanza), di corresponsabilità (condivisione del servizio ecclesiale). Ad entrambe queste figure soprattutto è legato il proprio cammino di santificazione; sì, perché anche l’obiettivo della nostra vita di preti è quello di raggiungere la meta descritta dalle Beatitudini di Gesù: vostro è il regno dei cieli! 

La domanda posta nel titolo di questo articolo trova allora una risposta. Quale prete? Non il burocrate, il funzionario, il gestore, ma l’uomo e il credente, capace di misericordia e accoglienza di quella umanità di cui fa parte integrante, depositario di un mistero che si sostanzia di relazione profonda e personale con Dio e si esprime soprattutto nell’annuncio della Parola e nella celebrazione dei sacramenti. 

don Francesco Zenna

 

Nuova Scintilla n.28 – 15 Luglio 2018