L’offerta del nostro sacrificio

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SGUARDO PASTORALE

L’offerta del nostro sacrificio

Ho provato una stretta al cuore leggendo domenica scorsa la parabola del granello di senape. Essa termina con l’espressione, carica di speranza: “È il più piccolo di tutti i semi ma quando viene seminato cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto, e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.

Il pensiero correva a quei 629 profughi sbattuti dalle onde per 9 giorni, assieme all’equipaggio della nave Aquarius, perché solo un porto lontano 1.500 km era disposto ad accoglierli. Al di là dei dibattiti televisivi, delle opinioni politiche, delle posizioni delle diverse testate giornalistiche, nei dialoghi personali, pur brevi, o proprio perché brevi, ho letto un preoccupante “rigurgito selezionista”, in base al quale ci sarebbero persone che possono essere accettate ed altre che non devono essere accettate perché portano disagio al proprio equilibrio sociale. E il richiamo alla mancata responsabilità degli altri Stati europei non riesce a mascherare sufficientemente il segreto desiderio che africani e arabi, orientali e rom non mettano piede sul nostro territorio.

Quella degli uccelli che fanno il nido tra le fronde è una piacevole immagine bucolica, un perfetto idillio campestre, ma il suo riferimento ha la voce di Papa Francesco che venerdì 15 giugno diceva: “Le Beatitudini evangeliche insegnino a noi e al nostro mondo a non diffidare o lasciare in balìa delle onde chi lascia la sua terra affamato di pane e giustizia; ci portino a non vivere del superfluo, a spenderci per la promozione di tutti, a chinarci con compassione sui più deboli”; e del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Gualtiero Bassetti, che nell’editoriale di Avvenire domenica 17 giugno scriveva: “Crediamo nella salvaguardia della vita umana nel grembo materno, nelle officine, nei deserti e nei mari. I diritti e la dignità dei migranti, come quelli dei lavoratori e delle fasce più deboli della società, vanno tutelati e difesi. Sempre”.

Lo dico o non lo dico? Ero combattuto, lì dall’ambone, e mi sono limitato a un semplice cenno. Forse per non sembrare demagogico, o forse perché inconsciamente mi chiedevo: “Sono disposto ad accogliere qualcuno a casa mia? Davvero chi ha bussato alle porte delle nostre comunità cristiane ha trovato dei cuori disponibili e delle porte aperte? Abbiamo investito nella strutturazione di una accoglienza capace di integrare umanamente e socialmente?”.

La demagogia corre su altri binari, purtroppo, e riesce ad ottenere il consenso popolare chi non scomoda ma giustifica e segue la corrente senza chiedersi se porta nella giusta direzione.

È una delicata sfida pastorale a cui è necessario dare risposta, perciò non bisogna temere di porre la questione all’ordine del giorno dei nostri Consigli pastorali, di favorire delle serie riflessioni tra gli operatori della carità, di compiere scelte coraggiose nell’ambito stesso dell’evangelizzazione, della catechesi, della liturgia. La questione non riguarda soltanto una più o meno dignitosa sistemazione logistica, ma le relazioni umane; se c’è la disponibilità a pensarci fratelli, o anche solo concittadini, a costruire insieme un tessuto sociale inclusivo e creativo, se c’è coscienza di poter interagire ponendoci sullo stesso piano nei diversi fronti della vita comune e quotidiana, allora sì diamo testimonianza alla forza rivoluzionaria del Vangelo e possiamo accostarci all’altare del Signore per offrire il nostro sacrificio.  

don Francesco Zenna