Morire per amore

zenna
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Sguardo pastorale

Morire per amore

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. È una delle espressioni con cui Gesù stesso ci invita a leggere il mistero della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Alle diverse suggestioni che mi sono giunte via social in questi giorni sulle cause che hanno portato alla morte del Figlio di Dio fatto uomo risponderei proprio così: Dio è morto per amore! Di questa verità sono intrise le Scritture, soprattutto le lettere degli apostoli. Scrive Giovanni: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. Qualsiasi sia la causa immediata dell’arresto e della condanna, politica o religiosa, economica o strategica, ciò che sostanzia l’evento è il significato che esso riveste nel disegno divino, quello di portare all’estrema conseguenza la volontà del Padre: “…che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno”. Gesù ha assicurato anche Nicodemo su questa volontà: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”; egli “non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

A sera del giorno di Pasqua scrivevo in facebook: “A conclusione del Triduo Pasquale, che ci ha introdotti ancora una volta nell’azione sacra, o mistero, della nostra redenzione, sento il desiderio di condividere la grande gioia che provo nel sentirmi amato da Dio, di un amore così grande e gratuito da condividere fino alla morte più disonorevole la mia condizione umana. Auguri, amici! Sapere che Dio è morto e risorto per amore nostro è proprio una Pasqua!”. Un pensiero così profondo non può ingenerare sensi di colpa, se non in chi fatica ad accettare i propri limiti e a lasciarsi lavare i piedi come Pietro nel cenacolo, in chi fatica a riconoscere i propri errori, grettezze ed egoismi. Non sono questi a mettere in croce Gesù, ma Gesù ha voluto salire sulla croce proprio per liberarci da queste schiavitù e donarci la libertà che viene dal sentirci amati da Dio.

Qual è l’obiettivo dell’azione pastorale se non quello di far conoscere questa verità e farla sperimentare attraverso la celebrazione dei sacramenti? Questa sì che è una bella verifica! Troppo spesso abbiamo ridotto e continuiamo a ridurre la pastorale alla proposta precettistica di una serie di doveri da compiere. Essa è chiamata invece a generare gioia, entusiasmo, riconoscenza, impegno, rinnovamento; e tutto questo è possibile se introduce all’esperienza dell’amore. Leggo in un commento al mio post: “Sentirsi consapevolmente amati da Cristo è la più bella esperienza che si possa fare nella vita! Ti senti felice, ti senti sicuro, ti senti sostenuto nelle difficoltà, non hai più paure… è indescrivibile!”; e un altro: “è sconvolgente, bellissimo e immenso! Non potrò mai ringraziare abbastanza”.

Dio non ha eliminato la morte fisica e la sofferenza, le ha trasformate in strumenti salvifici; mentre prima della morte di Cristo erano viste come i segni del peccato, dopo la morte di Cristo sono rivelazione dell’amore di Dio e strumenti di salvezza. La croce rivela questo messaggio divino: la salvezza passa per l’amore radicale fino alla morte per gli altri. Questo messaggio non avrebbe avuto alcun valore se fosse stato solo detto o scritto, andava vissuto. Cosa che Dio esattamente ha fatto, tanto da mettere su un’opera complessa e intricata com’è l’incarnazione, la vita, la morte e la risurrezione di Cristo. Andiamo e facciamo altrettanto!

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.14 – 8 aprile 2018