Apprendere sperimentando

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Catechesi e comunità

Sulla “Formazione dei catechisti per l’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi” (II)

Apprendere sperimentando

Nel capitolo 5° del Documento della CEI sulla “Formazione dei catechisti per l’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi” del 2006, si pone l’attenzione sulla formazione dei catechisti che non deve essere trascurata in favore di una migliore organizzazione e dell’aggiornamento dei testi. La modalità che si propone per la formazione dei catechisti è quella del laboratorio, cioè dell’apprendere facendo, sperimentando. Questa modalità è uno stile che rende il catechista capace di far sperimentare, di valorizzare le motivazioni, capace di far interagire varie competenze e varie dimensioni: quella teologica, quella pedagogica, quella comunicativo-didattica. Va concepito come luogo di incontro tra sapere e saper fare e tra ideazione e progettualità. Si tratta, in fondo, di imparare ad operare attraverso l’acquisizione di capacità attinte a diverse discipline.

Le competenze, come si intuisce, sono tante e tali che non è possibile agire da soli.

Occorre collaborare con “esperti” che aiutino a trasmettere gli strumenti necessari ai catechisti per poter nella fase di analisi dei bisogni avere una buona capacità di ascolto, nella fase di progettazione essere capaci di dominare le metodologie e gli strumenti per coinvolgere i partecipanti, nella fase di attuazione possedere l’abilità dell’animazione insieme alla capacità di flessibilità e di adattamento.

Tutto questo presuppone che all’origine ci sia una chiara progettazione che prevede prima di iniziare: la lettura della domanda ossia i bisogni formativi dei catechisti, la scelta del modello formativo che presuppone la messa in gioco della loro esperienza e la scelta degli obiettivi formativi stabiliti con i catechisti, l’attenzione a ciò che il catechista vive e la possibilità di sperimentare concretamente la capacità creativa. Certo nel percorso si deve essere attenti a gestire le dinamiche con flessibilità e attenzione disposti a cambiare… ad aggiustare il tiro.

Importante la presenza di un “tutor” che, nella Comunità, può essere il parroco, come persona di esperienza nel campo della catechesi, capace di dar fiducia e aiutare i catechisti a leggere le proprie competenze e abilità, una persona capace di rendere pian piano autonomo il catechista anche attraverso una continua riflessione sulla prassi, per analizzarla, verificarla e rimotivarla.

Il Direttorio Catechistico Generale individua come prospettiva unificante della formazione la dimensione dell’essere, del sapere e del saper fare, ossia la maturazione cristiana personale, le competenze conoscitive e le abilità metodologiche. Dichiara che una buona catechesi richiede un intervento locale programmato e che la formazione deve essere aderente al contesto… “incarnata” non omologante.

I recenti approfondimenti in ambito catechetico, vedi ad es. Incontriamo Gesù, aggiungono la dimensione del “vivere e lavorare insieme” e del “saper stare in”, entrambe… fondamentali secondo il nuovo approccio metodologico in campo formativo culturale. Viviamo un tempo in cui il coinvolgimento partecipativo e la corresponsabilità sono alla base di ogni collaborazione. Anche nel cammino di fede occorre essere sicuri di “procedere insieme” come scelta responsabile e libera.

Credo che il cammino della formazione, mai abbastanza battuto, continui ad essere la sfida e la scelta fondamentale per rinnovare l’evangelizzazione non certamente nei suoi contenuti ma nella convinzione, nella motivazione, nell’entusiasmo, nella creatività di linguaggi e azioni che rendono i catechisti felici di annunciare la buona notizia e le persone che partecipano agli incontri di catechesi meravigliati e stupiti dell’attualità di un Dio sempre Creatore e Salvatore. (2 – fine)

don Danilo Marin

Nuova Scintilla n.9 – 4 marzo 2018