La vita operosa del cristiano

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PAROLA DI DIO – DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO – A

LETTURE: Prv 31,10-13.19-20.30-31; Dal Salmo 127;1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

La vita operosa del cristiano

Prv 31,10-13.19-20.30-31: “Lavora volentieri con le mani…stende le mani al povero…le sue opere la lodino…”.

Il poema del ritratto della ‘donna forte” o “di carattere” o “operosa” conclude  il libro dei Proverbi e richiama il ritratto della “Sapienza” del capitolo 9,1-6. Sono la sua operosità, la sua previdenza e la sua carità ad essere elogiate, a fare di lei il ritratto concreto del ‘saggio’. Non parole ma fatti; non dice “Signore, Signore”, ma “fa concretamente la volontà del Signore”. Mette a frutto le sue mani, il suo ingegno e il suo cuore. Crea felicità e sicurezza in chi gli sta intorno, specie per la sua famiglia, ma non solo. Alla luce della pagina evangelica che ascolteremo oggi, lei  mette a frutto i doni o talenti ricevuti dal Signore a vantaggio suo e degli altri. Diventa l’ideale dell’uomo saggio secondo le Scritture: “Ben superiore alle perle è il suo valore… Illusorio il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare”!

Dal Salmo 127: “Beato chi teme il Signore”.

Cosa vuol dire temere il Signore? Significa camminare nelle sue vie, cioè compiere la sua volontà, vivere secondo i suoi insegnamenti. In questa obbedienza concreta sta la gioia dell’uomo e della donna di fede. Alcune espressioni del libro del Deuteronomio (10,12-13) dicono correttamente il senso di ‘temere il Signore’: “E ora, Israele, che cosa chiede da te il Signore, il tuo Dio, se non che tu tema il Signore, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu lo ami e serva il Signore, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua? Temi il Signore, il tuo Dio, servilo, tieniti stretto a lui e giura nel suo nome. Egli è l’oggetto delle tue lodi, è il tuo Dio, che ha fatto per te queste cose grandi e tremende che gli occhi tuoi hanno viste”. Dunque temere Dio significa avere una grande riverenza per Lui, amarlo, rispettare Lui e la sua Parola, obbedirgli, lodarlo e adorarlo. Questo modo di vivere la nostra relazione con Dio è fonte della gioia presente e futura del credente: “Beato chi teme il Signore…”.

1Ts 5,1-6: “Voi non siete nelle tenebre, siete tutti figli della luce, non dormiamo, ma vigiliamo”.

La vita del credente in Cristo è attesa dell’incontro con Lui. Non è importante fare calcoli di quando Egli verrà, ma vivere in maniera che alla sua venuta ci trovi nelle condizioni di poter partecipare alla sua gloria, alla sua salvezza, alla comunione con Lui nel suo Regno. Quali sono queste condizioni? Vivere da figli della luce e non delle tenebre. Con il battesimo Dio ci ha posti nel suo regno di luce, cioè lavati e purificati dal peccato e resi partecipi della vita divina con il dono del suo Spirito. La nostra vita sia dunque vita battesimale (luce), lontani dalle opere del male (tenebre). La nostra vita diventa piena delle opere che scaturiscono dalla grazia del Signore (vigilanti) e non sterile e infruttuosa o segnata dalle opere della notte, cioè del male (non dormiamo).  

Mt 25,14-30:“A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.

Con la parabola dei talenti Gesù ci invita ad una vita attiva che mette a frutto i suoi doni dati a ciascuno. La narrazione è fatta di tre parti e vuole attirare l’attenzione nell’ultima parte. Un padrone in procinto di intraprendere un viaggio affida ai suoi servi il proprio patrimonio (vv. 14-15). Cosa succede durante la sua assenza da parte dei servi (vv. 1618)? Infine cosa succede al ritorno del padrone (vv. 19-30)? Protagonista della parabola è il padrone che parte, consegna i beni ai servi e al ritorno chiede loro di rendicontare l’uso che hanno fatto dei beni loro affidati. Il linguaggio è ricco di termini bancari: banchieri, interessi, guadagnare, talento, denaro, fare i conti. Tutta l’attenzione porta sui dialoghi tra il padrone e i servi nella terza parte del racconto. Ciascun servo rende conto personalmente al padrone. Il padrone parla a ciascuno dei servi, li ascolta e motiva la ricompensa (entra) o la punizione (toglietegli il talento). La ripetizione delle stesse frasi, sia nella lode espressa per i due servi ‘buoni’, come pure nel rimprovero al servo ‘cattivo’ devono imprimersi nella mente del lettore, specie quelle rivolte al terzo servo, al quale viene dedicato lo spazio più ampio. Le somme lasciate dal padrone ai servi sono molto grosse e indicano la grande responsabilità affidata a ciascuno. Approssimativamente 5 talenti corrispondevano alla paga di circa 83 anni di lavoro di un operaio, 2 talenti a circa 33 anni e 1 talento a circa 17 anni di lavoro. Anche i tempi dei verbi sono importanti. La vicenda è narrata al passato; il tempo presente è usato all’arrivo del padrone. I servi narrano al passato il loro comportamento che è oggetto dell’attuale giudizio. La sentenza del v. 29 al futuro adombra il giudizio finale, facendo capire al lettore come la sua esistenza presente sia carica di responsabilità in vista della sua prospettiva futura. Il suo futuro può essere gioia, festa e banchetto al quale il Signore lo invita o dal quale può essere escluso. Essere vigilanti significa riempire il limitato tempo presente nel quale si dispone dei doni del Signore. Bisogna evitare di sprecare il tempo datoci, non mettendo a frutto i suoi doni.

+ Adriano Tessarollo