Con la gioia del Vangelo

zenna
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SGUARDO PASTORALE

Con la gioia del Vangelo

La gioia è per il presbitero la prima e più importante verifica dell’autenticità del suo rapporto con il Signore e della sua dedizione pastorale. Ho sperimentato in prima persona che di fronte a ostacoli e incomprensioni ciò che conta è sapersi scelti e amati dal Signore, è spendersi per “portare a tutti la gioia del Vangelo, a partire dall’annuncio pasquale”. Il Sussidio chiama questa esperienza “tensione estatica” e il compito che ne deriva “introduzione alla verità e all’amore di Gesù Cristo”. Ecco delineata in sintesi la missione del prete che non può più “attendere in ufficio parrocchiale” o limitarsi a “conservare l’esistente” ma dà ad ogni sua attività “un nuovo stile evangelizzatore, che porta a bussare alla vita delle persone, a intercettarne i bisogni profondi e le domande inespresse”. Per fare questo è necessario un cuore grande, non chiuso dalle strettoie delle rubriche, dei ruoli, delle normative, ma disponibile a capire e ad accettare anche l’imperfezione dell’approccio, purché approccio sia e non mera funzione. Se nel momento del dolore per la perdita di una persona cara nasce la nostalgia di un volto, il legame sia pur esile di un’esperienza passata, ben venga l’opportunità di risvegliare la fede cercata e vissuta con un prete che magari non è il parroco ma permette di percepire una Chiesa amica, comprensiva, materna.

Ad una liturgia perfetta nelle sue forme va preferita quella gioiosa di una comunità che fa spazio ai giovani, che sopporta i bambini, che si misura sui tempi e le modalità espressive di un’umanità frettolosa e povera di simbolismo. Va fatto salvo lo scopo, quello di far incontrare il Signore, di mettere in comunione, di annunciare la bellezza e la forza del Vangelo. “Questa prospettiva porta il ministro ordinato – e più in particolare ogni operatore pastorale – ad andare incontro agli altri con rinnovata disponibilità, nella convinzione che sia meglio «una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» (EG,49)”. La vita stessa del presbitero se è finalizzata unicamente all’osservanza di una regola “sbiadisce alla prova del logoramento”, allora “le esigenze del ministero finiscono per apparire insostenibili, sfuma l’entusiasmo del dono di sé”, per cui “si può anche continuare a spendersi ma in realtà senza donarsi, privi di quella gioia e libertà interiore che profumano e qualificano il servizio pastorale”. Per descrivere le conseguenze dell’usura dell’ideale il Sussidio parla di “compromesso”, di “stile impiegatizio”, di “rassegnazione”, di “tentazioni”, la cui “china è rappresentata dall’aggrapparsi a stili di vita mondani, dal lasciarsi inebriare o ottenebrare dalla realtà in cui si vive, fino a cadere in forme di dipendenza che inducono una sofferenza devastante”. Esigenza fondamentale per uscire da questo vortice è custodire “la memoria viva dell’incontro con Gesù Cristo”, e “antidoti efficaci rimangono la fraternità e l’amicizia presbiterale, il riferimento costante a una guida spirituale, la vigilanza e la sobrietà di chi alimenta le ragioni per non addormentare lo spirito e lascia a Dio l’iniziativa della propria vita. La carità pastorale ne è un indicatore e una condizione essenziale: nella misura in cui il presbitero torna ogni giorno a vivere per la sua gente e, quindi, a spendersi con generosità, fa l’esperienza del sentirsi sostenuto dalla propria comunità”.

Questo settimo capitolo si chiude opportunamente con la citazione dell’incipit della Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.44 – 19 novembre 2017