Cercare Dio è la vita, incontrare Dio è la morte, possedere Dio è la vita eterna

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PAROLA DI DIO – DOMENICA XXXII DEL TEMPO ORDINARIO – A

LETTURE: Sap. 6,12-16; Dal Salmo 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

Cercare Dio è la vita, incontrare Dio è la morte, possedere Dio è la vita eterna

Sap. 6,12-16: “La sapienza si lascia trovare da quelli che la cercano”.  

La Sapienza biblica è il disegno di Dio inscritto nel creato e nel cuore di ogni uomo. Un disegno da scoprire e da accogliere, un disegno che diventa l’orientamento e meta della propria vita e del proprio agire. Mettersi in ascolto della parola di Dio significa mettersi in ricerca del senso della vita e del nostro progetto di vita alla guida della Rivelazione di Dio che in Cristo ‘Sapienza del Padre’, è divenuto ‘Via, Verità e Vita’. Egli si fa trovare da chiunque lo cerca, anzi, Lui stesso è passato tra noi e ancora passa: “Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.”. (Ap 3,20-21).

Dal Salmo 62: “Ha sete di te, Signore, l’anima mia”.

Una preghiera d’invocazione e di ringraziamento. L’invocazione nasce dal desiderio forte, come quello della sete nel gran caldo e dell’acqua nella siccità. Dal mattino alla sera il credente è animato dal desiderio di Dio. Nella preghiera del mattino l’anima grida per il desiderio di Dio, in quella della sera l’anima si stringe al suo Signore, trova in Lui la sua intima compagnia e a lui si affida. La comunione con Lui è cercata nei segni sacramentali della sua presenza, nel tempio, dove il fedele è salito quale pellegrino in ricerca e nei sacramenti nei quali condivide la comunione con il Signore e con gli altri fedeli, saziandosi della Parola e del Pane, sentendosi sotto la protezione delle sue ali, cioè della sua presenza protettrice e fedele. 

1Ts 4,13-18: “Sulla parola del Signore vi diciamo…saremo sempre con il Signore”.

Come guarda alla morte il cristiano? Alla luce dell’esperienza di Gesù Cristo e delle sue promesse. L’apostolo Paolo lo richiamava già ai suoi primi cristiani di Tessalonica, che convertiti alla sua predicazione dal giudaismo o dal paganesimo, in gran parte non credevano alla risurrezione dei morti e alla vita eterna. In Mt 22,23 leggiamo infatti dei giudei che “i sadducei dicono che non c’è risurrezione dei morti” e in At 17,32 dei pagani leggiamo che : “Quando sentirono Paolo parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano…”. Ecco la novità cristiana: se crediamo che Gesù Cristo è morto e risorto, crediamo anche che Dio radunerà per mezzo di Gesù Cristo anche quanti sono morti in unione a Lui. Quindi il cristiano, di fronte alla morte, non è triste come gli altri che non hanno speranza, ma vive la vita nel cercare il Signore, affronta la morte come incontro con il Signore e attende la vita eterna per essere per sempre con Lui. Questa speranza ha il suo sicuro fondamento nella Parola del Signore e il suo anticipo e garanzia nella sua Risurrezione e Ascensione al Cielo.

Mt 25,1-13:“In verità vi dico: non vi conosco”.

E’ proposta oggi la parabola delle “vergini stolte e prudenti”, cioè delle dieci ragazze amiche dello sposo, lo attendono con le lampade accese, per entrare in corteo con lui alla festa di nozze. Nel racconto l’attenzione è rivolta alle cinque ragazze “stolte” o poco previdenti, per mettere in guardia il lettore a non farsi trovare, alla venuta improvvisa del Signore, nella condizione delle ragazze ’stolte’, con le lampade spente, a differenza di quelle sagge. Dove sta la differenza? Nell’avere i vasetti con l’olio di riserva, dato che l’ora dell’arrivo dello sposo non è prevedibile. “Poiché lo sposo tardava”, infatti, tutte si addormentano. Ma, svegliate improvvisamente dalle acclamazioni degli accompagnatori che compongono il corteo dello sposo, vedendo le lampade spente, tutte si danno da fare per riaccendere le lampade, aggiungendo del nuovo olio. Cinque di esse prendono olio dai vasetti di riserva e ricaricano le loro lampade, ma cinque, non avendo i vasetti di riserva, devono correre a procurarsi l’olio dai venditori proprio nella notte. Nel frattempo lo sposo arriva e chi ha la lampada accesa può unirsi al corteo nuziale ed entrare alla festa.  “E la porta fu chiusa” (10), dice lapidariamente il racconto, lasciando intendere una situazione non più mutabile! Quando, infatti, arrivano a bussare le altre cinque e chiamano “Signore, Signore, aprici”, dal di dentro la voce fermamente risponde: “Non vi conosco”. Lo sposo da attendere è il Cristo. I due gruppi di ragazze rappresentano due modi diversi di vivere l’attesa, diversità che è definita stoltezza o saggezza. Le sagge si sono provviste di una riserva di olio, condizione decisiva per entrare alla festa, mentre le altre non se ne sono provvedute a tempo debito. In Mt 7,21 leggiamo: “ Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno… (come le stolte), ma chi fa la volontà del Padre mio (come le prudenti)”. In 7,24 si dice: “Chiunque ascolta questa mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio…Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica è simile a un uomo stolto…”. Ora possiamo interpretare l’esortazione finale: “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora”. La vita di ognuno è attesa dell’arrivo del Signore. Una attesa riempita dall’olio di una vita operosa nel compimento della volontà del Signore. Una vita ‘vuota’ preclude la possibilità di entrare alle nozze con lo sposo, bella immagine con cui è rappresentata la salvezza. I due detti perentori: “E la porta fu chiusa” e “Non vi conosco”, sono un monito a non rimandare il compimento del bene, perché, come recitava un vecchio detto: “se perdi il tempo che adesso hai, alla morte non l’avrai”.

 + Adriano Tessarollo

Da Nuova Scintilla n.43 – 12 novembre 2017