Catechista, chi vuoi essere?

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CATECHESI E COMUNITA’

Una serie di domande e un augurio

Catechista, chi vuoi essere?

Mi piacerebbe tentare di rivolgere, attraverso questa rubrica, ai catechisti alcune domande (ma temo che il mio desiderio di avere risposte difficilmente verrà soddisfatto).

Eccole: caro/a catechista, da quanto tempo lo sei? Il fatto di essere catechista incide sulla tua vita personale? Per esempio, hai vissuto gioie come catechista? Come ti senti, attualmente? Come valuti il tuo servizio di catechista? Quali difficoltà stai incontrando? Immagino i tanti problemi incontrati nel voler aiutare i ragazzi. La società di oggi condiziona molto il vostro servizio.

Ecco allora altre domae: Davanti a queste situazioni, ti senti motivato? Demotivato? Stanco? Che cosa ti porta attualmente a continuare il tuo servizio di catechista? Per quale motivo hai forse pensato, talvolta, di interrompere questo servizio? Ripeto: mi piacerebbe iniziare un dialogo e così ripensare assieme ciò che costituisce il bagaglio di ogni catechista. In attesa che qualcuna/o, leggendomi, sia a sua volta tentato di rispondermi (a proposito: lascio la mia mail danilo.marin@tin.it), penso bisognerebbe fare il punto, da soli o in gruppo o con il parroco, del vostro servizio. Vi accorgerete che ormai non esistono catechisti specializzati per la cresima o la prima comunione. Esistono catechisti che accompagnano per più anni i ragazzi del proprio gruppo in un cammino di fede. Pertanto, attenzione a certe tentazioni di specializzazione, non siamo in fabbrica e i ragazzi non sono pezzi da fare ma persone da amare e alle quali testimoniare prima di tutto la propria fede.

Allora cosa vuol dire fare catechesi, essere catechista?

“Catechista” è una parola antica che viene dalla lingua greca e vuol dire: colui che insegna a viva voce. Ma è un insegnare nel senso di testimoniare. Proprio così: il catechista è colui che insegna testimoniando. E cosa insegna? Penso che una delle definizioni più belle dell’essere catechista ce la dà la prima lettera di Giovanni: «[1] (…) Quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi (…) quello che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, [3] (…) noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure viviate in comunione con noi [4] (…) perché la nostra gioia sia perfetta» (Eb 1, 1.3.4.). Il catechista, pertanto, non è colui che trasmette un insieme di dottrine, leggi e norme. È colui che, in definitiva, vive una stupenda esperienza, quella della sequela di Gesù, e desidera comunicarla agli altri, senza presunzione, senza gridare in piazza, ma con gioia interiore, con umiltà, con gratitudine e gratuità, con decisione e fermezza.  È stato chiesto ad un vescovo: “Cosa si sente di dire ai bambini, ai ragazzi che in queste settimane hanno iniziato a ritornare nelle aule di catechismo, perché vivano questo appuntamento in modo fruttuoso”? «Dico loro – rispose – buon incontro con Gesù, perché questo deve essere il catechismo. E mi permetto di correggere un termine: direi che quelle non sono aule per il catechismo ma piuttosto degli spazi di incontro dove spero che sperimenteranno la gioia di imparare e di vivere la fede». È lo stesso augurio anche per ciascuno dei nostri catechisti.

 don Danilo Marin