Amare Dio e l’uomo

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PAROLA DI DIO – DOMENICA XXX DEL TEMPO – A

LETTURE: Es 22,20-26; Dal Salmo 17; 1Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40

Amare Dio e l’uomo

Es 22,20-26: “Non maltratterai lo straniero…, la vedova…, l’orfano…, l’indigente…”.

Il brano tratto dal libro dell’Esodo presenta un testo molto antico che regolava i rapporti verso chi si trovava a vivere situazioni di povertà o possibile emarginazione. Attualmente queste indicazioni sono nel libro dell’Esodo subito dopo il decalogo, la Legge dell’alleanza. Quindi questi insegnamenti entrano a fare parte della Legge dell’Alleanza, cioè la Legge che regola i rapporti tra Dio e il suo popolo. Non quindi un ‘optional’ come si dice oggi, cioè un qualcosa non strettamente necessario, ma parte integrante dello stesso patto di Alleanza. Nel vangelo Gesù legherà indissolubilmente l’amore a Dio e l’amore al prossimo come condizione unica per vivere la fedeltà e l’obbedienza ai Comandamenti. L’attenzione a queste categorie di persone anche oggi rischia di essere vista come un ‘volontariato’ che qualcuno può fare quando e se ne ha il tempo, mentre essa fa parte integrante dell’osservanza della Legge o Volontà di Dio. La non osservanza mette a rischio la salvezza stessa offerta da Dio. Interessante notare i verbi che designano le azioni da non fare: “Non molestare né opprimere lo straniero…non maltrattare l’orfano e la vedova…non comportarti da usuraio verso l’indigente, non imporgli alcun interesse…”. Prima di entrare nella Bibbia queste erano leggi sociali di oltre 3000 anni fa. Confrontandole con le nostri prassi e legislazioni pensiamo davvero di aver fatto oggi un grande progresso sociale?

Dal Salmo 17: “Ti amo, Signore, mia forza”.

La liturgia sceglie i versetti iniziali e finali del lungo salmo 17, nel quale il re Davide rende grazie al Signore per quanto ha operato nella sua vita, proteggendolo da tutti i pericoli e nemici. Interessante notare i dieci titoli dati a Dio all’apertura del salmo (prime 2 strofe della liturgia). Essi esprimono la sicurezza, la solidità, la forza e la fiducia che al credente deriva dal rapporto col ‘suo’ Dio  a cui egli si sente di appartenere: per ben dodici volte abbiamo l’aggettivo possessivo ‘mio’ in queste strofe, per concludere infine con l’orante che si definisce ‘suo consacrato’. La preghiera non è astratta, rivolta a un Dio lontano, ma diventa confessione di una relazione profonda e rassicurante tra chi prega e il ‘suo’ Dio’.

1Ts 1,5c-10: “Avete accolto la Parola… con la gioia dello Spirito Santo”.

Ecco il rapporto tra l’apostolo Paolo e la comunità, nata dalla sua predicazione. L’apostolo ha annunciato il vangelo con la parola e la testimonianza del suo comportamento trasparente in mezzo a loro (“voi ben sapete”). A sua volta la comunità ha imparato a vivere secondo l’esempio dell’apostolo e la parola di Gesù, per la quale ha subito anche “grandi prove”, cioè  l’ostilità dei non credenti. Ma non è mancata la consolazione e la forza dello Spirito Santo. La testimonianza di conversione e di fede della comunità, che dalla religione pagana si è convertita alla fede nell’unico Dio e alla speranza riposta nel Cristo risorto, è diventata oggetto di ammirazione per tutto il territorio circostante. Tutto questo ha facilitato all’apostolo l’annuncio del vangelo anche alle comunità vicine. Annuncio e testimonianza di vita coerente e personale sia dell’apostolo che della comunità sono diventati la via per l’accoglienza della fede per altre comunità.  

Mt 22,34-40: “Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti”.

Gesù ha trovato più rifiuto dai ‘farisei e sadducei’ che non dalla gente comune e dai ‘peccatori’! I farisei erano i laici rigidamente attaccati alle tradizioni religiose e alle rispettive prescrizioni morali, almeno a parole. I sadducei erano i membri delle famiglie sacerdotali, detentrici di tutta l’organizzazione cultuale al tempio, fonte del loro benessere e potere. La predicazione di Gesù dunque a Gerusalemme tornava loro molto scomoda e pericolosa. Eccoli dunque sempre all’attacco di Gesù, con l’obiettivo di screditarlo di fronte ai suoi ascoltatori, se non addirittura di  eliminarlo. Gesù però, da abile “Maestro” conoscitore della Sacra Scrittura, tiene ben testa a questi ‘esperti’ coalizzati insieme non per ascoltarlo ma per screditarlo appunto di fronte al popolo. Ma a Lui sta a cuore soprattutto parlare alla gente semplice e comune, desiderosa di ascoltarlo, indicando loro il cuore degli insegnamenti biblici. Egli esce dalla logica dei ‘dottori della legge’ e dal loro grande e serioso discutere sui 613 comandi e divieti e su quali fossero più lievi e quali gravi, logica alla quale volevano portare anche Gesù con la domanda: “Maestro, nella Legge qual è il grande comandamento?”. Ma Gesù è interessato ad annunciare unitamente la misericordia e il perdono di Dio e la giustizia e la carità tra gli uomini; loro, farisei e sadducei, proclamano che avanti a tutto sta l’amore a Dio che si esprime nel culto e nella rigida osservanza di tutte le prescrizioni che essi  insegnavano. La risposta di Gesù li spiazza perché egli dà un criterio unitario, alla luce del quale vanno interpretate tutte le altre prescrizioni. Ecco la risposta: “Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente (Dt 6,5). Questo è il grande e primo comandamento” e “Il secondo poi è simile a quello: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18)”. Gesù conosce le Scritture, prende due testi da passi diversi e li accosta con una precisazione inattesa, mettendo il secondo comandamento sullo stesso piano del primo, definendolo simile. I due comandamenti, l’amore a Dio e l’amore al prossimo uniti insieme, costituiscono il principio in base al quale valutare tutte le altre prescrizioni. L’uomo deve concentrare le sue energie (volontà, sentimento, intelligenza) sull’amore di Dio e parimenti sull’amore all’uomo, amore all’uomo che ad essi manca e che trascurano di insegnare. 

 + Adriano Tessarollo