L’amicizia con il Signore

zenna
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SGUARDO PASTORALE

L’amicizia con il Signore

Il presbitero fonda la sua scelta di vita, e il servizio che ne deriva, sul rapporto “d’amicizia e intimità” che egli stabilisce con il Signore. Gesù a Pietro, prima di affidargli la missione di “pascere” il gregge, chiede qual è la misura del suo amore per lui. È un amore chiamato a crescere costantemente, fino a farci “diventare sempre più suoi”. Concretamente significa assumere “i sentimenti e lo sguardo” del Maestro, e lasciarsi “plasmare dalla sua volontà”. Questa esperienza dell’incontro con Gesù e del rimanere in lui costituisce una “inestimabile ricchezza che relativizza ogni altra sicurezza, sostiene nelle responsabilità, moltiplica il fervore e le energie”. Tutto il resto dipende dalla qualità di questa relazione personale, da cui sgorga “una passione grata e generosa per il popolo di Dio e una matura capacità di stare tra la gente”. A queste condizioni, nel presbitero e per mezzo del presbitero si manifesta “la presenza salvifica del Risorto”. La via è quella della memoria e della disponibilità: “memoria del giorno della sua ordinazione, quando l’effusione dello Spirito e l’azione della Chiesa lo hanno raggiunto con un dono immeritato”; “disponibilità ad attingere continuamente alla fonte dalla quale è scaturito il suo ministero e che ha trasformato il suo desiderio di amore, rendendolo specchio dell’amore di Cristo, secondo l’azione dello Spirito del Signore”. Di fronte al riconosciuto bisogno di un rinnovamento della Chiesa e della pastorale, il Papa sottolinea giustamente che “la vera anima di ogni riforma sono gli uomini che ne fanno parte e la rendono possibile”.

Per cui saranno soprattutto “una frequentazione puntuale della Parola di Dio” e “la celebrazione eucaristica” a informare l’attività pastorale e le strutture con cui si sviluppa: “l’amore ricevuto” e intensamente vissuto “diventa amore donato”. In queste affermazioni è racchiuso l’invito a porre al centro della vita di tutta una comunità l’Eucaristia, preparata assieme, partecipata fraternamente, interpretata come punto di arrivo e di partenza, consapevoli delle proprie fragilità e disposti a unirsi con quelle proprie all’offerta di Cristo. Da qui scaturisce “la gioia del prete e della sua comunità”. “Essa edifica la Chiesa e il presbiterio nella comunione”. È importante allora che il presbitero si interroghi su quale posto hanno “nella sua vita di discepolo e di pastore” le forme comunitarie e personali di preghiera, di ascolto, di esercizi spirituali e ritiri, di condivisione della fede. Una domanda costantemente presente, sostenuta “dal confronto con una guida spirituale” che, anche se sempre più difficile individuare, consente di evitare il rischio del “vuoto di riferimenti”, lo stato di “indifferenza rispetto ai propri errori”, “l’alibi di sentirsi dispensati dal sacramento della riconciliazione”, e di maturare, piuttosto, la capacità di comprendere e usare misericordia. A fronte di una possibile frammentazione risulta “preziosa l’assunzione di una «regola di vita»”; infatti, “senza una sano equilibrio di preghiera e ministero, come di riposo e di lavoro, si rimane esposti all’urgenza del momento e ci si riduce a reagire alle richieste che strattonano maggiormente, trascurando altre attività pastorali e lo stesso rapporto con i confratelli”. “Si rischia allora di cadere facilmente nella sfiducia e nella lamentela, prigionieri di uno sfinimento cronico che impedisce al pastore la disponibilità all’ascolto della propria gente e lo priva di quella gioia contagiosa di cui, in forza del suo incontro con il Signore Gesù, dovrebbe essere l’autentico portatore”. Deve esserne consapevole il prete per operare un coraggioso discernimento sulle priorità e lo devono essere anche i fedeli per non ridurre il rapporto con lui in una serie egoistica di pretese.

don Francesco Zenna

da Nuova Scintilla n.40 – 22 ottobre 2017