La profezia della fraternità

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SGUARDO PASTORALE

La profezia della fraternità

L’unica missione di “rendere presente il Cristo che visita la vita degli uomini per stare in mezzo a loro, guarirli e salvarli da ogni forma di male” si dispiega “in una molteplicità di servizi”. A volte si perde di vista l’obiettivo e ci si trova a discutere sui mezzi. C’è chi si sente oberato di lavoro e di responsabilità e chi lamenta un’insufficiente valorizzazione; anche la dislocazione geografica o la valutazione data all’incarico ricevuto a volte porta a delle forme di invidia o di gelosia; così pure la preferenza di un percorso formativo o pastorale rispetto ad un altro. Al di sopra di tutto dovrebbe invece emergere la “comune appartenenza al sacramento dell’ordine” che inserisce in un presbiterio come in un “unicum sacramentale”. Il Sussidio elenca le conseguenze “spirituali e operative” di questa verità. La prima è la “testimonianza di una fraternità concretamente vissuta, un servizio pastorale che sia segno credibile di una comunione non soltanto operativa, ma cordialmente fraterna”. Ecco in che senso la fraternità è profezia. Essa “dà valore e significato” al ministero, preserva dalla solitudine, facilità il confronto e forma le coscienze. Abbisogna poi di “tempi, metodi e luoghi” perché non sia lasciata solo alla buona volontà dei singoli e considerata come un accessorio; ma soprattutto “è il risultato della carità di tutti” così come “dell’umiltà e del sacrificio di ciascuno” e si radica su una spiritualità che maturi lo spirito di servizio e vinca l’insidia del “carrierismo che distingue tra ministeri ritenuti prestigiosi e altri poco ambiti” perché ritenuti di “scarso rilievo”.

Presbiteri e Vescovo si richiamano reciprocamente in una relazione dettata non tanto da “motivi di affinità, d’opportunità pastorale e di strategia operativa”, quanto piuttosto “dal vincolo sacramentale che rende partecipi dell’unico sacerdozio”. La riflessione teologica precede e informa la prassi, sia quella che vede il Vescovo prendersi cura dei suoi preti, sia quella che chiede ai presbiteri di “mettere in comune la vita e la fede, pregare, discernere, lavorare e verificare insieme” per condividere le “fatiche” e le “consolazioni”, per “crescere nell’amicizia fraterna”, per “sostenersi reciprocamente nella fedeltà all’amore del Signore, nella speranza che rende generosi e audaci, nella passione instancabile per il cammino del popolo di Dio”. Negli incontri, soprattutto quelli zonali, in cui si vivono queste esperienze è fondamentale lo spazio dato alla lectio divina e alla preparazione dell’omelia. Fondamentali anche gli Esercizi spirituali, le nuove forme di condivisione pastorale tra più parrocchie, la stessa vita comune, che può dar vita a “piccole comunità” con le quali scrivere “una nuova pagina di storia della spiritualità del presbiterio diocesano”. È importante infine “individuare e valorizzare alcune figure di alto profilo, équipe con l’incarico di portare avanti proposte di formazione permanente”. Il presbiterio infatti è come una famiglia che “accompagna nelle diverse stagioni della vita e del ministero”: “i preti giovani prolungano la formazione ricevuta in seminario” e vengono introdotti “più profondamente nel presbiterio” attraverso “la progressiva conoscenza dei preti più maturi e il confronto con loro”; i “presbiteri di mezza età hanno bisogno di mantenersi vigili e interiormente motivati”; “i più anziani possono trovare nel rapporto fraterno l’occasione per mettere in circolo la sapienza pastorale acquisita nel tempo e una più forte motivazione per continuare a spendersi come collaboratori”; senza trascurare quelli ammalati e impossibilitati, “servizio qualificante, debito di riconoscenza e tratto eloquente di Chiesa”.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.39 – 15 ottobre 2017