Perché bene e male nel mondo?

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PAROLA DI DIO  –  DOMENICA XVI DEL TEMPO ORDINARIO –  A

Letture: Sap 12,13.16-19; dal Salmo 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

Perché bene e male nel mondo?

Sap 12,13.16-19: “Tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza… Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini”.

Queste righe concludono la riflessione sull’esperienza che Israele ha vissuto nell’uscita dall’Egitto. Sia Egiziani prima che Cananei dopo si sono opposti al disegno di Dio riguardo al popolo d’Israele, ma Dio è intervenuto con loro con moderazione, perché suo intento non è distruggere con la forza le sue creature, ma correggerle, portarle al pentimento e salvarle, perché Egli ama ciò che ha creato. Anche Israele ha peccato venendo meno alla fedeltà all’Alleanza durante il cammino nel deserto. Ma pure con il suo popolo egli si è dimostrato giusto, prendendosi cura di tutte le cose ed esercitando la giustizia con la forza della sua mitezza e indulgenza. Cosi Egli ha indotto il popolo a conversione e ha offerto loro il perdono. Ecco due grandi insegnamenti da trarre: “il giusto deve amare gli uomini” e tenere certa “la buona speranza che, dopo i peccati” Dio concede il pentimento. 

Dal Salmo 85: “Tu se buono, Signore, e perdoni”. 

Il Salmo è la supplica di un fedele che si trova in un momento di grande sofferenza. Ma dall’abisso della disperazione giunge alla tranquillità dell’anima, ripensando a ciò che è il Signore, verso il quale il fedele innalza il suo sguardo. Da una parte ci stanno tutti gli attributi e le azioni di Dio: “buono, perdoni, pieno di misericordia, grande, compi meraviglie, tu solo sei Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco di amore e di fedeltà”. Dall’altra c’è la confessione della propria condizione dell’orante: “povero e misero, fedele, tuo servo, che in te confida…”. Alla luce di Dio così riconosciuto colui che prega può guardare serenamente a se stesso e alla sua situazione, che sembra disperata, senza smarrirsi. La preghiera si fa intensa di invocazioni a Dio e apre all’incontro con la bontà e la misericordia di Dio, sulla quale può contare per trovare protezione da tutto ciò e da chi lo avversa. Nella preghiera l’orante percorre un cammino personale di adesione umile ed incondizionata a Dio che interviene, perdona e salva.

Rm 8,26-27: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”.

Poco prima san Paolo scrive che “la creazione geme…” (v.22) e che noi “gemiamo interiormente” (23). Ora anche lo Spirito “intercede per noi con gemiti inesprimibili…”. Si tratta qui dell’azione dello Spirito che nei nostri cuori “viene in aiuto alla nostra debolezza”. E’ lo Spirito che prega in noi, che con noi intercede perché si compiano i disegni di Dio. Questa è la preghiera che nasce dallo Spirito, che chiede che si compia la volontà di Dio. La nostra preghiera più spesso chiede che Dio faccia la nostra volontà! Dal contenuto della nostra preghiera misuriamo il livello della nostra ‘vita spirituale’. 

Mt 13,24-43: “Lasciate che l’una e l’altro crescano fino alla mietitura…”.

Il brano del vangelo propone tre parabole, una riflessione sull’uso delle parabole e la spiegazione della prima parabola. La prima parabola, quella del buon grano e della zizzania, lascia intendere una grande sorpresa perché i servi vedono spuntare la zizzania (loglio) dopo che la semina fatta dal padrone era stata di solo buon grano. Come si spiega ciò? La parola del padrone ne dà la spiegazione: “Un nemico ha fatto questo”. La parabola dunque attira l’attenzione sulla presenza del male nel mondo anche nella nuova situazione del Regno di Dio che Gesù ha inaugurato. A questa constatazione segue un’altra domanda: “Vuoi dunque che andiamo a raccogliere la zizzania?”. Ma la risposta del padrone del campo rinvia ad un futuro in cui Egli stesso darà ordine ai ‘mietitori’ di operare una separazione tra la zizzania e il grano, l’una destinata al fuoco e l’altro al granaio. La spiegazione della parabola “della zizzania nel campo” rimanda sia al presente che al futuro nel quale il giudizio di Dio renderà manifesta la scelta operata ‘oggi’ nell’accogliere il regno o di schierarsi contro, operando di conseguenza: per questi ultimi si annuncia la condanna mentre per i primi si annuncia la ‘trasfigurazione’: “splenderanno come il sole nel regno del Padre loro”. Le altre due parabole, del granello di senape e del lievito messo nella pasta, rispondono ad altri due problemi o domande. Cosa potrà mai operare nel mondo una realtà così piccola come quella a cui sta dando inizio Gesù (il regno dei cieli)? Ecco la risposta di Gesù: un seme piccolo piccolo come un granello di senape alla fine del processo di crescita diventa un albero grande, dove addirittura gli uccelli del cielo fanno i loro nidi. L’immagine dell’albero rimanda a Ez 17,23 dove nel regno messianico trovano protezione tutti i popoli (gli uccelli del cielo). Pure la parabola della donna che deve impastare un pugno di lievito in tre misure di farina (più di 40 kg di farina) sottolinea la disparità tra il poco lievito e la grande quantità di pasta. Il poco lievito, dalla sera alla mattina, è capace di intaccare tutta quella massa di pasta. In conclusione il Regno dei cieli, dagli inizi così piccoli, si rivelerà a tutti e tendenzialmente è destinato a coinvolgere tutti. Gesù con la sua azione e parola rende presente e manifesta questa grande realtà che da Dio è offerta agli uomini. Il Regno è già in azione nella storia di ogni generazione.

+ Adriano Tessarollo 

Nuova Scintilla n.29 – 23 luglio 2017