Servitori del Vangelo

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PAROLA DI DIO – Domenica XIII del tempo ordinario –  A

LETTURE: 2 Re 4,8-11.14-16a; Dal Salmo 88; Rm 6,3-4. 8-11; Mt 10,37-42

Servitori del Vangelo

2 Re 4,8-11.14-16a: “…è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi…”

Questa pagina presenta un certo modo di vedere la missione, fatto poi proprio da Gesù e indicato agli apostoli. Il profeta Eliseo vive la sua missione non da ‘sedentarizzato’ ma ‘itinerante’. Certo che ha un punto di riferimento, dove viveva con altri ‘profeti’, ma l’itineranza era dettata proprio dall’annuncio della Parola di Dio da portare a tutte le persone del territorio circostante raggiungibile con alcuni giorni di cammino. Essa prevedeva quindi il ‘permanere fuori’ della sede di riferimento. L’accoglienza era motivata dal loro essere “uomini di Dio” e “santi”, due interessanti qualificazioni. Erano ‘Uomini di Dio’, perché portavano la sua Parola, vivevano a servizio di quella Parola che annunciavano coraggiosamente, Parola di giustizia, Parola di amore, Parola di speranza. Erano ‘Santi’ perché vivevano quella Parola con coerenza e secondo lo stile di vita conforme a quella parola di Dio; erano uomini di carità e di preghiera che tante volte trovava esaudimento, come ricordato in 1Re 17,24 in riferimento al profeta Elia, maestro di Eliseo: “La donna disse a Elia: «Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore nella tua bocca è verità»”. Si tratta di una visione che anche oggi interpella preti e religiosi sul loro essere ‘uomini di Dio e santi’ e lo stesso popolo dei credenti sulla loro disponibilità all’accoglienza e al sostegno nelle quotidiane necessità degli annunciatori del vangelo. Anche Gesù, come ascolteremo nel vangelo, dirà: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto”. Ricordo che ‘giusto’ nel vangelo di Matteo, è chi vive secondo la Parola di Dio, come è detto san Giuseppe, ‘giusto’, per la sua volontà di osservare le Scritture e la parola dell’Angelo. 

Dal Salmo 88: “Canterò per sempre l’amore del Signore”.

Dal lungo salmo 68, che è una preghiera del popolo di fronte a una grande sconfitta, la liturgia sceglie tre strofe di due versetti ciascuna. Nella prima (vv.2-3) vengono proclamate due qualità divine, la misericordia e la fedeltà, per le quali il popolo sa di poter contare sulle promesse divine sancite nell’Alleanza. Esse non verranno meno dato che sono ‘divine’ cioè del Dio misericordioso e fedele. Le altre due strofe (vv.16-17 evv.18-19), che vengono dopo la descrizione delle meraviglie operate da Dio nel creato, cantano la fede del popolo dell’alleanza che invoca il suo Dio, che ha come luce il suo volto benevolo, e che in lui trova la sua gioia, la sua forza, il suo vanto, il suo scudo di difesa, il suo Re e Signore.

 Rm 6,3-4. 8-11:“anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”.

L’apostolo Paolo sta richiamando ai cristiani di Roma il senso del battesimo: esso è partecipazione alla vita di Cristo, alla sua storia umana e alla sua attuale condizione gloriosa, che è manifestazione della potenza salvifica di Dio. In unione a Cristo anche noi partecipiamo alla lotta e vittoria sul peccato, alla vittoria sulla morte e per la potenza di Dio siamo resi partecipi della vita divina. La realtà della nuova vita promessa e già presente fin da ora, può venir percepita e riconosciuta mediante la fede (‘crediamo che…’) e ci viene dalla unione ‘in Cristo Gesù”.

 Mt 10,37-42: “Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me”.

 Il discorso ‘missionario’ volge al termine. Matteo raccoglie a modo di conclusione alcuni detti di Gesù, adattandoli alla situazione della comunità per la quale scrive il suo vangelo. Seguire Gesù si chiarifica sempre più come ‘seguirlo condividendo la sua stessa croce’. Il detto di Gesù sul portare la croce (v. 38) è di centrale importanza per comprendere il concetto di sequela di Gesù. Prima della Pasqua quel detto non faceva riferimento alla crocifissione di Gesù, ma era un’esortazione ad essere pronti alla sofferenza e alla morte come lo era Gesù. Era un’immagine comprensibile a tutti in quanto richiesta di disponibilità a soffrire rivolta a ogni suo discepolo che voleva essere tale. Il filosofo Kierkegaard distingue tra ammiratori e discepoli di Gesù. “L’ammiratore si pone sotto la croce e di là parla (con parole seducenti) del mondo, della storia del mondo e dell’umanità, oppure dipinge da artista un quadro che suscita sempre e soltanto ammiratori. Il discepolo accoglie la croce come propria. La sequela con la croce conduce alla vita. Questa affermazione paradossale, che deve apparire assurda al non credente, acquista un suo senso nel fatto che Gesù ha percorso la via della croce. L’assurdità di certe croci umane accusa Dio, ma Dio risponde in Gesù, a cui fa percorrere la via della croce”. Al termine del discorso missionario l’evangelista ritorna sull’accoglienza da offrire ai messaggeri itineranti, specie in riferimento alle comunità giudaiche disperse nel mondo, alle quali i discepoli di Gesù andavano ad annunciare Gesù Cristo. Nella predicazione di Gesù infine i bambini costituivano, dopo le donne e accanto agli schiavi, la parte più debole nella società antica, ma ora i ‘piccoli’ sono i semplici discepoli di Gesù che passano ad annunciare il suo vangelo.

 +  Adriano Tessarollo

Nuova Sicntilla n.26 – 2 luglio 2017