L’anima seduta

francesco zenna
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SGUARDO PASTORALE

L’anima seduta

È una delle espressioni con cui questo papa stigmatizza un cristianesimo abitudinario, poco incisivo, appiattito sulle forme, incapace di aprirsi alla novità, che non si coinvolge ma resta ai margini. Oggi a Chioggia si snoderà la tradizionale processione dei santi Patroni e vedremo molta gente fare ala al clero e a pochi altri fedeli, in atteggiamento a loro modo devoto, ma per lo più curioso, un po’ pettegolo o indifferente. Sono cristiani che «balconano la vita», direbbe papa Francesco, coniando un’altra delle sue parole dal forte contenuto simbolico. Anche se l’atteggiamento di chi “sta al balcone” è di tanti fedeli e non riguarda solo la modalità con cui si partecipa a un evento religioso, ma soprattutto la modalità con cui ci si mette alla sequela del Maestro. Non si può rimanere inerti, rassicurati da un’adesione teorica e garantiti dall’osservanza dei precetti. Bisogna muoversi, camminare, rischiare. Se percorriamo il Vangelo ci accorgiamo che chi ha incontrato veramente Gesù è chi ha avuto il coraggio di rischiare, di mettersi in gioco. Pensiamo a quegli uomini che hanno fatto un buco sul tetto per calare il lettuccio del paralitico: hanno rischiato che il padrone della casa facesse loro causa, li portasse dal giudice per farsi pagare il danno. Pensiamo a quella donna che soffriva da diciotto anni di perdite di sangue: rischiò quando di nascosto toccò l’orlo del mantello di Gesù, rischiò di venire rimproverata, svergognata. Pensiamo alla Cananea, alla peccatrice in casa di Simone, alla Samaritana: tutte corrono rischi e arrivano così alla salvezza.

Qual è il rischio a cui siamo sottoposti oggi se scendiamo dal balcone e ci mettiamo sulla strada della vita a testimoniare la nostra fede, la nostra appartenenza alla comunità cristiana, i valori evangelici? Rischiamo quanto meno di essere derisi da una cultura libertaria che punta solo al soddisfacimento dei propri bisogni. Rischiamo di veder sfumare i possibili guadagni di affari oscuri al di fuori o al limite della legalità. Rischiamo di perdere il posto di prestigio, il titolo onorifico, la visibilità sociale perché nascosti dietro un servizio umile, legati a un dovere onesto e chiamati alle piccole cose nelle quotidiane sfide della vita. Un caro vecchio amico ha deciso di spendersi politicamente per il bene della propria città, una coppia di sposi ha deciso di adottare un bambino portatore di handicap, un figlio ha chiesto aspettativa al lavoro per accudire fino alla fine la madre affetta da grave demenza senile, alcuni giovani imprenditori hanno investito sull’inserimento al lavoro di persone disabili, un giovane seminarista è entrato sabato scorso tra i candidati all’ordine sacro. Ho conosciuto oggi da una coppia di amici la storia di Chiara, una giovane mamma che, per due volte, ha scelto di far nascere il suo bambino pur sapendo che sarebbe morto a causa di una grave malformazione; e che la terza volta, quando finalmente sembrava che tutto stesse andando bene, ha dovuto fare la scelta più grande: sacrificare la sua vita per il bimbo che portava in grembo. È stata uccisa dal cancro dopo che aveva deciso di rinviare le cure per poter portare a termine la terza gravidanza; è morta poco dopo la nascita di Francesco; aveva 28 anni. Fare pastorale significa accorgersi di queste persone, intuire che sono questi i percorsi di una nuova evangelizzazione, sostenere con la Parola e i Sacramenti, offrire delle ragioni perché l’anima “salti in piedi”.

don Francesco Zenna 

Nuova Scintilla n.23 – 11 giugno 2017