Pastorale del lavoro

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SGUARDO PASTORALE

Pastorale del lavoro

Oggi ci si interroga sulla bontà di un impegno pastorale di settore. Sembra più consono allo sviluppo culturale di questi ultimi decenni focalizzare l’attenzione e la cura sulla persona e sulla famiglia. Del resto sono proprio la persona e la famiglia i soggetti attorno ai quali ruotano le problematiche legate alla professione, agli ambiti sociali, alle dinamiche economiche, alla varietà delle espressioni. Sto pensando al cappellano di una squadra di calcio, all’assistente di una categoria professionale, all’incaricato per il turismo piuttosto che per il mondo dell’arte. Certamente la presenza di un sacerdote in un ospedale o in una struttura carceraria, magari non solitario ma coadiuvato responsabilmente da un gruppo di laici debitamente preparati, è segno di vicinanza e premura nei confronti di persone che si trovano in particolari situazioni emergenziali;

lo prevedono proprio le opere di misericordia corporali e spirituali sulle quali abbiamo abbondantemente meditato lo scorso anno. Ma sarebbe riduttivo pensare che l’impegno pastorale debba essere sollecitato dalle situazioni, consista nell’offrire servizi religiosi per categoria, serva a dare risposte consolatorie o diventi bandiera per rivendicazioni più o meno parziali. Pensiamo al mondo del lavoro, che sabato scorso è stato oggetto di una particolare attenzione da parte del papa nell’incontro che ha avuto con la Fondazione “Centesimus Annus”. Sappiamo che si tratta di un’istituzione che vuole tenere desti i principi della dottrina sociale della Chiesa, così come è stata proposta da Leone XIII a Giovanni Paolo II. Essa aveva appena concluso una Conferenza internazionale sulla ricerca di “modi alternativi di comprensione dell’economia, dello sviluppo e del commercio, per rispondere alle sfide etiche poste dall’imporsi di nuovi paradigmi e forme di potere derivate dalla tecnologia, dalla cultura dello spreco e da stili di vita che ignorano i poveri e disprezzano i deboli”. Così il papa stesso ha sintetizzato, compiacendosi, le conclusioni che gli sono state presentate. E poi ha aggiunto: “La lotta contro la povertà esige una migliore comprensione di essa come fenomeno umano e non meramente economico. Promuovere lo sviluppo umano integrale richiede dialogo e coinvolgimento con i bisogni e le aspirazioni della gente, richiede di ascoltare i poveri e la loro quotidiana esperienza di privazioni molteplici e sovrapposte, escogitando specifiche risposte a situazioni concrete. Ciò richiede di dar vita, all’interno delle comunità e tra le comunità e il mondo degli affari, a strutture di mediazione capaci di mettere insieme persone e risorse, iniziando processi nei quali i poveri siano i protagonisti principali e i beneficiari. Un tale approccio all’attività economica, basato sulla persona, incoraggerà l’iniziativa e la creatività, lo spirito imprenditoriale e le comunità di lavoro e d’impresa, e in tal modo favorirà l’inclusione sociale e la crescita di una cultura di solidarietà efficace”. Richiamando il risultato delle recenti assemblee sinodali sulla famiglia, ha poi ribadito che “l’incertezza nelle condizioni lavorative spesso finisce per aumentare la pressione e i problemi della famiglia ed ha un effetto sulla capacità della famiglia di partecipare fruttuosamente alla vita della società”. Ecco, la pastorale di settore, del lavoro nel caso specifico, non si riduce a qualche iniziativa peculiare, ma si estende a quell’approccio alla persona e alla famiglia, che ne costituisce l’anima e ne favorisce l’efficacia.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.21 – 28 maggio 2017