Pastorale pasquale

zenna
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SGUARDO PASTORALE

Pastorale pasquale

Una delle critiche che mi vengono rivolte dalle persone insieme alle quali ho fatto un buon tratto di cammino nella maturazione della fede riguarda l’eccessiva insistenza sul dovere, capace di promuovere la radicalità nella sequela, ma anche di alimentare il senso di colpa e di inadeguatezza, arrivando a bloccare l’entusiasmo della vita cristiana più che a suscitarlo. Poi magari aggiungono che si trattava dello stile pastorale di quarant’anni fa, ma questo non basta ad avvertire che si trattava di una pastorale poco pasquale. Sono convinto che il Signore si è servito di tante altre positività per far breccia nel cuore di quei giovani, ma capisco anche che probabilmente è mancato loro un respiro in più. Il respiro che deriva dalla consapevolezza che l’amore del Signore è gratuito, preveniente, incondizionato, non si acquista con i meriti ma viene accolto con grande stupore, tanto grande quanto più grande è la nostra indegnità. Il respiro che viene dalla gioia di aver incontrato il Signore risorto, la sua vita, la sua libertà, il suo progetto di umanità redenta, non un giudice severo che misura le nostre manchevolezze per esigere ammenda. Il respiro che sgorga dalla speranza di averlo sempre con noi, soprattutto nel segno del pane spezzato e del calice condiviso, nel dono di grazia racchiuso nei sacramenti con cui rinnova la storia, da condividere non in maniera passiva ma responsabile. Il respiro animato dall’esperienza della misericordia, della quale siamo oggetto e testimonianza, fruitori e portatori, uomini di pace perché pacificati.

Suonano nuove e stimolanti alcune espressioni di papa Francesco che ci invita a non fare del confessionale una “sala di tortura” o delle omelie “uno spettacolo di intrattenimento”, ma strumenti dell’incontro di Dio con il suo popolo, sullo stile del rapporto madre e figlio, che fa ardere il cuore e fa sentire – come avveniva per Maria – “che ogni parola della Scrittura è anzitutto dono prima che esigenza”. Oppure le altre che invitano a diventare “contemplativi non solo della Parola ma anche del popolo”, con le sue aspirazioni, le sue ricchezze e i suoi limiti, i modi di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo, che contrassegnano un determinato ambito umano. E ancora l’invito a usare sempre “il linguaggio positivo”. È quel linguaggio che “non dice tanto quello che non si deve fare, ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio” e “in ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso”. Insomma una pastorale pasquale che “orienta verso il futuro e non ci lascia prigionieri della negatività”.

Ma io sono convinto di tutto questo! Possibile che non sia stato capace di trasmetterlo? Forse non era ancora patrimonio acquisito e giorno dopo giorno devo tutt’ora maturare uno stile di pastorale davvero pasquale.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.18 – 07 maggio 2017