Vita e vocazione interpretate con radicalità evangelica

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ULTIMO SALUTO A MONS. CARLO CATTOZZO

La celebrazione in cattedrale presieduta dal vescovo e quella a Ca’ Bianca

Vita e vocazione interpretate con radicalità evangelica

Martedì 4 aprile alle ore 10.30 in Cattedrale e alle ore 15 a Ca’ Bianca si sono svolti i funerali del confratello Carlo Cattozzo, a cui il Signore ha fatto dono di una lunga vita. Era nato infatti nel lontano 1923 da papà Giuseppe, che egli stesso definisce “uomo solerte, premuroso, curante della famiglia” e da mamma Fortunata “donna generosa, semplice, discreta, religiosa, educatrice affettuosa”. Se a loro doveva la vita e la formazione cristiana, a don Erminio Marangon, allora parroco di Ca’ Bianca, doveva la scoperta della sua vocazione. Entrato in Seminario e compiuti gli studi in pieno contesto bellico, fu ordinato sacerdote dal vescovo Giacinto Ambrosi nel 1947.

Servì quindi la nostra chiesa locale nell’obbedienza di sei vescovi. Fu subito “curato”, quindi diretto responsabile di una comunità, per 5 anni a Brondolo e per 7 a Bonelli. Fu in questo periodo che chiese e ottenne la presenza in Polesine delle Suore Poverelle di Bergamo, che si rivelò preziosa e perdura tutt’ora. Sempre in Polesine fu vicario economo e parroco di Gnocca, con l’impegno di trasferire la sede parrocchiale a Oca. Operazione che egli svolse con pazienza e profondo rispetto dei tempi psicologici delle persone. Nel 1965 fu chiamato a Chioggia come parroco di San Domenico (17 anni) e Cancelliere Vescovile (11 anni). In questi anni conobbe l’Istituto dei Sacerdoti missionari della Regalità, cui aderì con entusiasmo per essere aiutato a vivere con radicalità evangelica la sua vocazione di prete secolare. Fu membro del Consiglio presbiterale e del Collegio dei Consultori, Delegato vescovile per gli Istituti di Vita Consacrata, collaboratore nella nuova parrocchia di Buon Pastore a Sottomarina. Pur essendo Canonico residenziale dal 1982, nel 1993 accettò di tornare a fare il parroco nella sua Ca’ Bianca, dove rimase per 19 anni, fino al 2012, quando, suo malgrado, lasciò la parrocchia ma non il ministero che, essendo ospite nella Casa del clero in Seminario, esercitò in San Giacomo finché riuscì, anche con l’aiuto di un bastone, a governare le sue gambe stanche. Il vescovo Adriano nell’omelia ha sottolineato questo “zelo pastorale” che lo ha contraddistinto e lo ha portato a fare del Tempio del Signore, cioè del suo ministero, una “casa di preghiera” e non un “mercato”, sottolineando così, alla luce della Parola che è stata scelta per la circostanza, la sua povertà, il suo stile di vita generoso, la sua passione per il bene delle persone affidate alle sue cure, il suo grande amore per il Signore. Sullo stile di Francesco d’Assisi, il primo dei suoi santi patroni dopo la Vergine Maria, compiva i passi del suo pellegrinaggio verso la terra promessa con lo sguardo rivolto al Crocifisso, come gli Israeliti verso il serpente di bronzo – ha ricordato il vescovo – quando furono insidiati nel loro proposito di fedeltà. “Fu un prete vero” mi diceva una sorella. “Ho avuto la preziosa opportunità di conoscere, nei diversi ruoli, le sue grandi doti di serenità, saggezza e disponibilità sempre unite ad un aperto sorriso” ha scritto un laico socialmente impegnato. “Il viso sempre sorridente, cordiale con tutti e, per mesi e mesi,l seduto in confessionale dove finiva la confessione con un sorriso e una stretta di mano” scrive un altro ancora. E dal Basso Polesine sono arrivati attestati di viva riconoscenza per quanto ha seminato in valori umani e cristiani nei difficili anni ’50. Non pensiamo per questo a un uomo debole e manipolabile. Aveva un carattere forte e, consapevole di questa sua caratteristica, nel testamento spirituale ha chiesto perdono a quanti si sono sentiti feriti dal suo modo di fare che nascondeva in realtà un cuore ricco di umanità. Il vescovo ha opportunamente ricordato con episodi specifici il suo spirito di obbedienza, espresso anche nei momenti critici dell’esistenza, quando dovette lasciare la parrocchia, rinunciare a far uso dell’auto, accettare le cure del personale. Sì, anche questo, lui così autonomo e delicato per quell’esagerato pudore a cui era stato educato.

Da un anno circa non si muoveva più tanto, ma non riusciva a vedersi inoperoso e con il cuore sperava sempre di poter essere utile in qualche modo. Il Mercoledì delle Ceneri di quest’anno fu ricoverato in ospedale per una complicazione polmonare; fu dimesso dopo una quindicina di giorni, ma l’organismo era ormai consumato e il respiro venne presto a mancare. Sabato scorso i confratelli di Casa “San Giuseppe” hanno celebrato l’Eucaristia con lui nella sua stanza e al termine don Alfredo Mozzato gli ha amministrato l’Unzione dei malati, cui ha partecipato consapevolmente e attivamente. Domenica alle 15 ha dato l’ultimo respiro, alla presenza dei nipoti che, assieme al personale, lo hanno amorevolmente assistito e, soprattutto in quest’ultimo mese, mai lasciato solo. Due preoccupazioni meritano rilievo di quanto espresso nei suoi scritti testamentari: lasciare ai parrocchiani di Ca’ Bianca, e indirettamente a tutti noi, la consegna dell’amore reciproco, già chiesto dal Signore Gesù ai suoi discepoli, e suggerire per il suo congedo una celebrazione festosa, come festosa è la conclusione del suo testamento spirituale: Alleluia! È Pasqua! Alleluia!

Così è stato sia a Chioggia che a Ca’ Bianca: viva partecipazione, nutrita folla di fedeli e di confratelli, il canto e le memorie che in questo tempo di Quaresima ci hanno fatto già pregustare la gioia della Risurrezione. Ora la sua salma riposa nel cimitero della piccola frazione, che fu protagonista di questo miracolo dell’amore del Signore, perché chi vi accede, come faceva spesso anche lui per suffragare i propri cari, dica una preghiera anche per questo grande “piccolo prete”.

don Francesco Zenna

Nuova Scintilla n.14 – 09 aprile 2017