Un itinerario di popolo

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LA “SETTIMANA SANTA”

Puntuale rievocazione dei riti che si svolgevano in città in prossimità della Pasqua

Un itinerario di popolo

Sino alla riforma liturgica della Settimana Santa, con la domenica “di Passione” – 14 giorni prima di Pasqua – si velavano con stoffa violacea le croci, le statue e le pale dei santi esposte nelle chiese. Sempre nel periodo quaresimale, poi, ogni venerdì, aveva luogo la pia pratica della “Via Crucis”, con il canto della Passione e la predica, mentre alla domenica “delle Palme”, la liturgia iniziava con la benedizione dell’ulivo e la processione. Al termine della santa Messa cantata, con la “lunga” lettura del Passio, figurava l’esposizione solenne del SS.mo Sacramento, iniziando così le “Quarant’ore”, con turni d’adorazione continui dei fedeli. Generalmente nel pomeriggio seguiva il vespero o la recita del santo Rosario, con la predica, concludendo con la benedizione Eucaristica e la reposizione del Santissimo. Il lunedì santo, secondo giorno delle Quarant’ore, al mattino la santa Messa, l’esposizione del Santissimo e i turni di adorazione per tutti gli alunni delle scuole elementari della città, seguiti da quelli degli iscritti all’Azione cattolica e degli altri fedeli. Si terminava alla sera, con la recita dei vesperi, predica e benedizione eucaristica. Il martedì santo, terzo e ultimo giorno delle Quarant’ore, tutto come i giorni precedenti, con alla sera, durante la funzione eucaristica, il canto del “Te Deum”. Il mercoledì santo, al mattino la santa Messa, con nel pomeriggio le confessioni per i bambini ed alla sera la recita del “mattutino delle tenebre”. Il giovedì santo, al mattino, solenne Messa cantata, con la benedizioni degli oli santi: il Crisma, l’olio dei Catecumeni e l’olio degli Infermi e Comunione generale – specialmente dei bambini – cui faceva seguito la processione e la reposizione del SS.mo Sacramento nella custodia, chiamata popolarmente “sepolcro”. Alla sera, sino ad ora tarda, tutti i fedeli della città si portavano nelle chiese, per l’ora santa di adorazione davanti al sepolcro, dove il sacerdote teneva il panegirico di Passione.

Dal giovedì sino al sabato santo, in sostituzione dei campanelli in chiesa e delle campane, si usava la raganella, tipico strumento sonoro in legno. Al venerdì santo, al mattino la santa Messa “dei presantificati”, mentre al pomeriggio alle ore 15, nel santuario di san Domenico, dopo la Liturgia del venerdì santo, con la predica di Passione e l’adorazione della santa Croce, seguiva subito – sino agli ultimi anni del secolo scorso – l’allestimento, alla base del taumaturgo Crocifisso sito sull’altare maggiore, di uno scenario, composto da cartoni dipinti, con il monte calvario e le immagini della B.V. Maria e di San Giovanni evangelista (vedi foto) – a cura di Carlo Lombardo Poci e del figlio Renzo, coadiuvati da qualche altro volontario – che richiamava una moltitudine di fedeli. Alla sera, si snodava dalla cattedrale sino alla piazzetta Vigo, con ritorno sempre nella predetta chiesa, la processione – popolarmente chiamata del “populo meo” – con numerosissimi fedeli, associazioni, seminario, clero secolare e regolare, capitolo dei canonici, dove il vescovo, in piviale nero, sosteneva una reliquia della Santa Croce, sotto un baldacchino, retto dai fabbricieri della cattedrale. Tutte le abitazioni poste lungo il Corso risultavano addobbate con damaschi e luci elettriche o lumi colorati, nei davanzali e pergoli. Il sabato santo, nella mattinata, in cattedrale, con la presenza di tutte le autorità cittadine e di tanti fedeli, la benedizione del fuoco, il canto dell’“Exultet” e la benedizione del fonte battesimale. Seguiva la santa Messa pontificale, con il canto del Gloria e il suono di tutte le campane. In città, al prolungato e festoso suono dei sacri bronzi, la gran parte della popolazione, per non dire tutta, istintivamente, si bagnava gli occhi, possibilmente con acqua benedetta, che abitualmente si conservava in tutte le case. Era la Pasqua di Nostro Signore Gesù Cristo. Il motivo di tale “anticipo” era dovuto al fatto che nei secoli passati, dati i tempi calamitosi e privi di illuminazione pubblica, la santa Messa della notte di Pasqua, la si era anticipata al pomeriggio del sabato santo, per passare poi al mattino dello stesso giorno, proprio per la sicurezza fisica dei fedeli. Nella Domenica di Pasqua, in cattedrale, le tre usuali Sante Messe, la prima e la seconda letta, mentre l’ultima, era la Messa “in terzo”, presieduta dal vescovo, con l’assistenza del capitolo dei canonici e l’accompagnamento della “schola cantorum”, mentre al pomeriggio aveva luogo la recita dei vesperi in forma solenne, seguita dalla predica dal pergamo e dalla benedizione eucaristica. La domenica “in Albis”, nell’Ottava di Pasqua, nel santuario di san Domenico, il vescovo celebrava la solenne santa Messa – con la chiesa ripiena di fedeli, in particolare di pescatori e delle loro famiglie – nell’annuale festa del taumaturgo simulacro del Cristo, venerato in tale tempio, cui seguiva l’antichissima benedizione del mare, dalla sommità del ponte prospiciente tale chiesa.

Annotiamo, infine, che nel periodo pasquale, oltre che partecipare a tutte le funzioni liturgiche in chiesa e accostarsi ai Sacramenti, era quasi d’obbligo – almeno per chi poteva permetterselo – vestirsi con un abito nuovo, mentre per i più piccoli, grande era l’attesa di ricevere in dono delle uova sode e colorate. La simbologia dell’uovo per i primi cristiani era evidente; dall’uovo nasce la vita che a sua volta veniva associata con la rinascita di Gesù e quindi con la Pasqua si rinnova la speranza nella vita eterna, nella visione beatifica di Dio, nella Luce che non conosce il tramonto.

Giorgio Aldrighetti

Nuova Scintilla n.14 – 09 aprile 2017