Conoscere le politiche sociali

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IL LAVORO E LA PRESENZA DELLE CARITAS NEL TERRITORIO DELLA REGIONE DEL VENETO SULL’IMMIGRAZIONE.

 

Breve quadro riassuntivo.

 

Audizione Quinta Commissione Consigliare 18 aprile 2017

 

Della popolazione di richiedenti asilo presente nel territorio della Regione del Veneto (tra le 14 e i 15 mila persone), circa 2400/2500 sono collegati alla rete di accoglienza del mondo Caritas o più in generale del mondo ecclesiale. In Italia le persone globalmente accolte in strutture ecclesiali censite a febbraio 2017 sono circa 23 mila.

 

Nel Veneto abbiamo:

 

circa 1700 persone accolte in strutture ecclesiali che fungono da Cas e Sprar;

 

circa 400/450 persone in strutture di seconda accoglienza (dove non vi è SPRAR);

 

circa 200 in altre forme di seconda  accoglienza non convenzionate

 

1. Distinguiamo il lavoro delle Caritas (fatto attraverso sue emanazioni che possano essere ONLUS o Cooperative di matrice Caritas), prevalentemente rivolto ai processi di inclusione sociale e di accompagnamento del migrante nel percorso per l’ottenimento del Permesso di soggiorno. In molti casi visto il diniego, molti soggetti ecclesiali si stanno impegnando anche per l’ulteriore accompagnamento per il ricorso. Tutto questo lavoro avviene all’interno dei Centri di Prima Accoglienza (alberghieri) che oggi rappresentano uno dei punti critici delle accoglienza nel nostro territorio. In questo senso sono le microrealtà spesso poco conosciute –  caritas parrocchiali e interparrocchiali, associazioni di volontariato informali) che con modalità il più delle volte gratuite operano nel territorio. E’ alla luce di questa attività di ascolto e di monitoraggio informale che possiamo poi esporre alcune considerazioni in riferimento alla proposta di legge regionale.

 

2. A questi si aggiungono altre forme di accoglienza più diversificate dopo il rilascio del permesso di soggiorno. In questo senso ci sono alcune sperimentazioni che riguardano la possibile implementazione (Rifugiato a casa mia) di un sistema di seconda accoglienza che – vista l’impossibilità di venire inseriti nello SPRAR – che coinvolga e faccia propria quella che viene definita ‘accoglienza diffusa’.  In questo contesto possiamo portare ad esempio la disponibilità di un numero ancora non censito di case canoniche o di altre locazioni di proprietà delle diocesi o altri enti religiosi come le Congregazioni religiose.

 

Lo sforzo culturale che le diocesi del Veneto stanno facendo è quello di ricomprendere il tema delle accoglienze con indissolubilmente legato al tema dei processi di inclusione sociale che oggi stanno preparando il volto e il pensiero degli immigrati che si stabiliranno nel nostro territorio. Noi conosceremo e saremo in grado di governare domani, ciò su cui oggi abbiamo investito in accompagnamento, formazione, capacità di interpretare i grandi movimenti storici che si implementano nei micro territori. Da questa finestra/osservatorio partecipato derivano le considerazioni che seguentemente consegniamo alla Quinta Commissione della Regione del Veneto.

 

 

Disposizioni in materia di prevenzione, controllo e sorveglianza sanitaria nei Centri di Accoglienza per immigrati ubicati nel territorio regionale.

 

E’ stato chiesto alle Caritas Diocesane afferenti al territorio della Regione del Veneto (nove Caritas Diocesane che fanno riferimento alle sette provincie più due Diocesi che non hanno nel loro territorio capoluoghi di provincia, Chioggia (VE) e Vittorio Veneto (TV), di esprimere un loro parere riguardo il Progetto di legge n° 207 sopra citato.

 

Alcune osservazioni:

 

  1. La preoccupazione di dare sistema alla dimensione sanitaria nei Centri di Accoglienza che attualmente ospitano richiedenti asilo, è importante vista la valenza pubblica che ha la salute di chi risiede nel territorio Veneto. Tale proposta abbisogna – almeno nelle premesse motivazionali –  di essere ricompresa, partendo e dando uno sguardo al complessivo fenomeno delle migrazioni e di quel specifico aspetto che definiamo migrazioni e salute.  La prevenzione e tutela della salute di migranti e lavoratori è già ampiamente coperta dalle norme ordinarie, nazionali e regionali, e non dovrebbe necessitare di altre prescrizioni. Al massimo, se ci sono specificità e urgenze, come già avvenuto in passato, sarebbe sufficiente emettere un atto tecnico o concordare protocolli operativi (per esempio come fatto per la profilassi e la prevenzione della Tbc).   Si tratta di uno sguardo che si sforza di vedere come si è evoluto nel corso di questi anni il rapporto tra migranti e la salute degli stessi.  La migrazione che sta interessando il nostro Paese nasce fondamentalmente come migrazione sana. Difatti ben si comprende che l’immigrato arriva nel nostro Paese con un patrimonio di salute sostanzialmente integro, vista anche la difficile trafila che ha compiuto dal luogo di partenza fino a qui.  L’autoselezione precede l’immigrazione e avviene generalmente dal Pese di partenza. L’immigrato non ci porta malattie esotiche, ma piuttosto è una persona da tutelare e proteggere. Proteggendo il migrante, si protegge la comunità.  Si può anche pensare che le complessive condizioni di vita cui l’immigrato dovrà conformarsi nel paese ospitante, potranno poi essere capaci di erodere e dilapidare, in tempi più o meno brevi, il ‘patrimonio’ di salute iniziale.    Ci possono essere situazioni che meritano un monitoraggio, ottenibile con interventi volti a favorire al massimo l’accessibilità e la fruibilità dei servizi sanitari e, in alcuni casi, la non onerosità delle prestazioni necessarie; queste sono gli aspetti da facilitare.  A queste stesse patologie sarebbe quanto mai opportuno dedicare specifici progetti di educazione sanitaria. Educazione sanitaria come uno dei molteplici approcci della più complessa inclusione sociale.  La condizione/situazione di pericolo immediato fatta trasparire dall’introduzione all’articolato, sembra essere più una preoccupazione politica che di sostanza e che poco corrisponde alla realtà dei fatti.

     

  2. Alla luce di queste osservazioni, ci sembra di notare che l’impianto dell’articolato sembra essere ‘difensivo’ partendo dal presupposto che dai migranti ci dobbiamo difendere anche dal lato sanitario. La proposta generalizza la presenza dei migranti ancora una volta come suscettibile di pericolo pubblico, dalla quale ci si debba difendere. A questo proposito sarebbe importante chiarire cosa si vuole indicare quando si nominano genericamente strutture e centri di accoglienza.  Sicuramente abbiamo presenti le strutture di grande ricettività che sono spesso nelle notizie dei mass media, ma una prevenzione sanitaria è da intendersi in tante altre situazioni/condizioni anche nei CAS di più ridotta ricettività. Forse è più opportuno parlare di monitoraggio epidemiologico più che di sorveglianza sanitaria, ciò per non ingenerare climi di artificioso allarmismo.  Se la preoccupazione è relativa ai grandi centri di accoglienza anche per questi ultimi norme, regolamenti e standard sono già definiti dalla normativa vigente. Speculazioni, soluzioni alloggiative improprie, sovraffollamenti non sono figli di un vuoto normativo ma di una scarsa programmazione e, in Veneto, della mancata collaborazione di tanti Enti Locali, che non hanno avuto dalla Regione grandi incoraggiamenti alla sperimentazione di forme innovative di accoglienza, facendo ricadere le responsabilità alle Prefetture. La questione degli standard citata nell’articolo 1, lettera b, e nell’articolo 5, comma 1, richiede solo un chiarimento sulla normativa vigente, peraltro già sottoposto all’Avvocatura dello Stato, stabilendo dove applicare le norme delle strutture residenziali e dove quelle delle strutture ricettive extra-alberghiere.

     

  3. Una terza criticità che sembra emergere – almeno da studi su scala nazionale, ma che risalta anche nella nostra esperienza di Caritas operanti nel Veneto,  è quella inerente alla salute mentale dei richiedenti asilo. E’ questo un aspetto che ha delle sue peculiarità e specificità bisognose di attenzioni. L’effetto migrante sano, comincia a mostrare i primi segni di logoramento negli indicatori di salute fisica e mentale, portando ricadute sfavorevoli sui costi di assistenza. Contribuiscono a questo sia i processi di acculturamento (spesso accompagnato dall’adozione di stili di vita non salutari), sia l’accumulo di svantaggi sociali (cattive condizioni di vita e di lavoro).

 

  In quale direzione sarebbe necessario adattare la programmazione sanitaria?

 

La direzione della Prevenzione del ministero della Salute ha evidenziato gli stimoli, offerti dalla definizione del profilo di salute della popolazione migrante, per orientare le azioni del Piano nazionale di prevenzione (Pnp) in modo sensibile alle differenze di rischio, salute e accesso alle cure. Tuttavia, nel nostro Paese il flusso migratorio più rilevante sfugge a questi sistemi di indagine. È quello che coinvolge i migranti che dall’Africa provano a venire in Italia, attraverso il canale di Sicilia e che mette sotto pressione i sistemi di controllo e di sorveglianza di frontiera. In particolare, si sottolineano due fenomeni: da un lato il peggioramento delle condizioni di arrivo osservato nell’ultimo biennio correlato al passaggio attraverso la Libia (che mina i migranti anche dal punto di vista delle condizioni economiche, assimilandoli per esperienza alle vittime di tratta); dall’altro lato, i migranti circolari che non riuscendo ad arrivare nei Paesi del Nord Europa entrano in circuiti di clandestinità e criminalità.

 

  1.  In questo senso compito della Regione potrebbe essere in conformità all’articolo 1 della proposta di legge, introdurre un lavoro in progress determinando un Tavolo di lavoro e di confronto  che abbia nella Regione stessa il ruolo di coordinamento, monitoraggio e supervisione, chiamando anche soggetti del Terzo Settore con i quali costruire un sistema di inclusione socio sanitaria che abbia durata almeno triennale, ponendo particolare attenzione ad alcune fragilità che si sono manifestate (salute mentale in primis) non escludendo monitoraggi sulle malattie infettive e restando fortemente in dialogo con il territorio e le Asl deputate. In questo senso l’inclusione sanitaria si rivela come una precisa ed essenziale componente della più ampia inclusione sociale.

     

    don Marino Callegari

 

 

 

OPERATORI CARITAS

PORTO VIRO. Utili spunti e approfondimenti grazie alla competenza della dr.ssa Zambello

Conoscere le politiche sociali

Circa 45 persone si sono ritrovate domenica 12 marzo presso il Centro Salesiano “San Giusto” di Porto Viro per una mattinata di formazione e di approfondimento sul tema della “Strutturazione delle politiche sociali nei nostri territori”. Momento importante per chi, come gli operatori dei Centri di ascolto presenti in Diocesi, si trovano ad esercitare l’arte dell’ascolto e nel contempo a dare esatte indicazioni su dove e come far riferimento ai servizi socio territoriali presenti, soprattutto nelle municipalità. Abbiamo avuto la possibilità di avere come relatrice la dott.ssa Mirella Zambello, assistente sociale, già sindaco per un decennio del Comune di Villadose, docente di Servizi Sociali presso le Università di Padova e Venezia nelle facoltà che formano e preparano le figure professionali degli assistenti sociali. La dott.ssa Zambello, di cui abbiamo colto la profonda competenza e conoscenza in materia, nel pur ristretto spazio di una mattinata, ha disegnato l’evolversi della cultura e della legislazione inerenti ai servizi alla persona, in particolare nell’integrazione del cosiddetto sociosanitario.

È emersa la centralità dell’Ente comunale, come primo interlocutore del cittadino e in questo senso il ruolo di mediazione e di raccordo che può e deve avere il Centro di ascolto. Centro di ascolto che si configura sempre più come interfaccia con i soggetti istituzionali. Ne segue logicamente la necessità che il singolo operatore abbia una seppur minima conoscenza dei servizi presenti nel territorio. Non è pensabile infatti che si possa solo ascoltare senza conoscere, pena diventare semplici distributori di vestiti o generi alimentari. Certo è che oggi è importante che anche chi lavora nel locale, quindi in ambiti territoriali circoscritti, conosca la legislazione nazionale e regionale, perché poi le applicazioni sono sempre localistiche e ‘di municipalità’. In questo senso la relatrice è riuscita ad illustrare alcuni forti e profondi cambiamenti che stanno caratterizzando le politiche sociali nazionali. Si è parlato del S.I.A. – Sostegno Inclusione Attiva – già operante nelle nostre municipalità, del Piano di Lotta alla Povertà, dell’accorpamento delle Asl in Regione Veneto, delle Gravi Marginalità e del modello innovativo di Welfare Generativo. Su tutte la dott.ssa Zambello ha dato elementi di conoscenza e di chiarificazione. Davvero importante la sua presenza e competenza!

In questo quadro sicuramente complesso e diversificato, l’appuntamento che l’organismo pastorale della Caritas non potrà mancare sarà prossimamente la presenza attiva e propositiva ai Piani di Zona, quello spazio/strumento di programmazione, ma anche di confronto e di rielaborazione delle politiche sociali nel territorio, in sinergia tra il variegato mondo del terzo settore (volontariato incluso) e i soggetti istituzionali.

Particolare attenzione è stata posta nelle ricerche che la Fondazione Zancan ha proposto in questi ultimi anni all’attenzione del territorio nazionale: la povertà nelle sue molteplici manifestazioni e le politiche (a volte non riuscite) per il contrasto alle marginalità. Significativi anche gli interventi degli operatori che si sono poi sviluppati nel corso della mattinata e che hanno sottolineato ancora una volta il pericolo di una ‘scollatura’ tra un impianto pubblico e le difficoltà del singolo cittadino a far riferimento agli stessi attori del pubblico e la difficoltà che anche soggetti come la Caritas (gli operatori) trovano nel dialogo con la figura delle Assistenti sociali – per la loro scarsità numerica – che, come tutti riconoscono, è la figura-chiave a cui fare riferimento. Tutto questo mentre le relazioni tra le Caritas presenti nel territorio e gli assessori alle politiche sociali sono state da tutti considerate molto buone. In pratica non c’è Centro di ascolto che non si rapporti con l’assessore di riferimento. Questo è un dato positivo perché ha portato l’interlocuzione con gli assessorati alle politiche sociali sul piano del confronto, della programmazione e della progettazione.

Un’ultima considerazione è emersa riguardo ai luoghi ecclesiali di confronto, ipotizzando che tematiche inerenti al servizio nei confronti dei più deboli e delle fasce più a rischio possano essere dibattute nei Consigli pastorali parrocchiali e vicariali. Più di una speranza; quasi un obbligo per non rimanere estranei ai grandi cambiamenti che stanno trasformando la vita dei cittadini, cioè del nostro prossimo. Forse è già abbastanza.

 mc

Nuova Scintilla n.13 – 02 aprile 2017