Quale Chiesa?

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SGUARDO PASTORALE

Quale Chiesa?

Ho avuto modo in queste settimane di partecipare via mail ad uno scambio di pareri sulla vita della Chiesa in seguito all’intervista rilasciata dal card. Cafarra al quotidiano “Il Foglio”. Una persona scrive: “Ho sentito molte volte il papa parlare di amore, comprensione, di non caricare sugli altri fardelli impossibili da portare; affermare che al centro non c’è la legge, ma «l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato su tutto». Questo è il papa, il resto è una Chiesa che non sa più parlare agli uomini, che si preoccupa di cavilli, che teme di perdere posizioni. (…) Questo è molto presente, a mio avviso, in un certo tipo di Chiesa, molto preoccupata dei riti e poco delle coscienze. (…) Io questo modo di essere Chiesa lo vivo tutte le domeniche: (…) la chiesa si sta svuotando, non ci sono più giovani né bambini, (…) nessuna parola su quanto capita attorno a noi, solo un rigido rispetto delle norme: l’essenziale è arrivare puntuali a messa, recitare delle formule (meglio se in latino), per il resto fate quello che volete. Sono profondamente in crisi. A me cosa dice questa Chiesa? Certo, la Chiesa è fatta dai laici, ma potrei obiettare: «solo quando fa comodo». (…) Capisco chi dice: cerco di fare bene il mio lavoro, cerco per quanto possibile di aiutare chi mi è vicino, cerco di essere accogliente, cerco di vivere onestamente, e già mi pare non poco tenendo conto degli scandali che ci vengono riportati su chi «carica fardelli sulle spalle degli altri».

La Chiesa istituzione ha in papa Francesco una grossa opportunità di rinnovamento: se non la saprà valorizzare avrà perso una grande occasione. Non sono però sicura che lo voglia. Una Chiesa fatta di norme, di regole indiscutibili, di riti, di paramenti e cerimonie, sembra affascinare molto i nostri giovani sacerdoti, molto più che la fatica dell’ascolto, dell’incontro e dell’abbraccio di situazioni difficili e complesse dove molte volte si può solo cercare di essere presenti”. Confesso che uno sfogo così chiaro e severo mi ha fatto riflettere, soprattutto sulla nostra vita di preti e sull’esercizio del ministero. Dà voce a un’analisi che si sta portando avanti anche a livello gerarchico. Alla “Due giorni” di aggiornamento dei vescovi del Triveneto sono emerse alcune indicazioni importanti per la vita delle nostre comunità. Innanzitutto l’esigenza di partire dal Vangelo, di lasciarci evangelizzare di più, di interpretare la Chiesa come luogo dell’incontro privilegiato, perché sacramentale, con Cristo. Poi la maturazione di una sempre maggiore simpatia nei confronti del mondo, perché così ha agito Gesù nel suo tempo, preoccupandoci di essere presenti, di creare vicinanza, di condividere. La Chiesa, ancora, c’è là dove nasce un “noi”, una comunità, delle relazioni. Per cui diventa inderogabile l’amicizia, il dialogo, senza gelosie e contrapposizioni, anche tra presbiteri e laici. Tutto questo richiede una “riforma” degli atteggiamenti interiori, a cominciare da chi ha la prima responsabilità nella comunità, perché da questa riforma possono scaturire gli atteggiamenti esteriori dell’umiltà, della fiducia, della corresponsabilità. La comunità si costruisce attorno alla vita delle persone, per cui è fondamentale tornare a raccontarci il vissuto, a narrare le meraviglie che Dio opera nel quotidiano e che non dobbiamo avere la pretesa di schedare dentro le nostre categorie, a far risaltare la “differenza cristiana” e la sua bellezza. Nella comunicazione c’è già cambiamento.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.5 – 05 febbraio 2017