Nonviolenza attiva

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SGUARDO PASTORALE

Nonviolenza attiva

Non credo che il tema scelto dal papa per la 50ª giornata mondiale della pace abbia suscitato tanto entusiasmo. Parlare di “non violenza” in un contesto di così alta tensione internazionale, provocata dal terrorismo, sembra fuori posto. Del resto abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo quando Anis Amri, l’autore della strage di Berlino, venne ucciso a Milano. Nessuno ha stigmatizzato la reazione di quel poliziotto che ha risposto al fuoco del tunisino. Come interpretare allora l’invito a riconoscere in tutti gli esseri umani dei “doni sacri dotati di una dignità immensa”? Ne ha parlato anche alla sua prima udienza generale del nuovo anno, esprimendo “dolore e preoccupazione” per quanto accaduto nel penitenziario brasiliano di Manaus. Ha invitato a “pregare per i defunti, per i loro familiari, per tutti i detenuti di quel carcere e per quanti vi lavorano”, ma ha anche rivolto un accorato appello perché gli “istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane”. Lo stesso è avvenuto in seguito all’attentato nella discoteca Reina di Istanbul. Il primate della Chiesa turca, appellandosi proprio al messaggio per la giornata del 1° gennaio, ha affermato che “una risposta ferma a questi attacchi può arrivare anche dall’accoglienza”. Siamo un po’ lontani da quell’istintivo desiderio di vendetta che fatichiamo a soffocare nei confronti di chi ha sbagliato e persevera, magari, nel seminare paura e morte. “Soprattutto nelle situazioni di conflitto – incalza invece papa Francesco – rispettiamo questa «dignità più profonda» e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile di vita”.

È una provocazione pastorale di non poco conto. Interpella la coscienza di ogni singolo battezzato ma anche la cultura che promuoviamo all’interno delle nostre comunità cristiane. Ne abbiamo già parlato, ma va riprovato concordemente lo stile conflittuale provocato da invidie e gelosie, lo spirito di esclusione giustificato dalla difesa dei propri valori, il sottile gusto per le disavventure di coloro che non fanno parte della nostra “cerchia”, il disinteresse nei confronti di persone e situazioni che non entrano nel nostro raggio esistenziale. Il messaggio della “non violenza attiva”, però, va oltre, postula dei gesti, delle scelte, un impegno. Innanzitutto un impegno per la formazione, sia delle giovani generazioni, sia degli adulti e degli anziani, proprio di quelli che frequentano quotidianamente le nostre chiese per la Messa e altre pratiche di pietà. Non possiamo liquidare con un sorrisetto espressioni di autentico disprezzo che escono a volte da quei cuori che dovrebbero essere abitati dall’esperienza della misericordia, tanti sono stati i passaggi della porta santa nel passato anno giubilare. Poi delle scelte in contro tendenza che facciano parlare non per il business economico che nascondono ma per la gratuità con cui ci si apre e si dona. In questi giorni i giornali hanno riferito con dovizia di particolari su degrado e inadeguatezza nei confronti dei profughi alloggiati nella ex base militare del vicino comune di Cona, delle loro proteste, delle loro esigenze e dei loro sogni. Meno si è parlato invece delle iniziative promosse dall’unità pastorale. Il settimanale della diocesi di Padova riferisce che la comunità ha accolto bene questa presenza. Un po’ alla volta, conoscendoli e incontrandoli per la strada o a messa, ci si rende conto che hanno solo bisogno di essere riconosciuti. La gente, accompagnata dai sacerdoti e dal gruppo Caritas, si è aperta all’accoglienza, cercando di parlare con loro, di metterli a loro agio. «Per estendere l’accoglienza a tutti – afferma il parroco moderatore – abbiamo pensato di chiedere a quelli che vengono a partecipare all’eucaristia (l’8% dei presenti alla base sono cattolici) che si facessero portavoce con gli altri, in gran parte musulmani, che qui potevano incontrare un ambiente accogliente e ospitale, che comprendeva le loro difficoltà, a volte i loro drammi, e si adoperava per rendere possibile qualche forma di fraternità». Allora si può fare!

don Francesco Zenna

Da Nnuova Scintilla n.2 – 15 gennaio 2017