Secolarità consacrata

zenna
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SGUARDO PASTORALE

Secolarità consacrata

All’alba della scorsa domenica, mentre entravamo nel clima del “gaudete” liturgico, è giunta la notizia della morte di un carissimo amico. Aveva lottato per tanti anni contro la leucemia che, alla fine, ha avuto il sopravvento. Ma questo non gli ha impedito di vivere alla grande, trafficando anche gli spiccioli del prezioso talento che Dio gli aveva consegnato: la vocazione alla secolarità consacrata. Il lavoro, l’impegno sociale, le problematiche familiari non furono circostanze cui attendere suo malgrado, ma i mezzi che ha consapevolmente scelto per la sua santificazione. Anche l’impegno ecclesiale partiva da questa scelta, per cui volle compierlo sempre da laico e con stile laicale, nella catechesi, nell’animazione dei gruppi e soprattutto nell’Azione Cattolica. La secolarità era il motivo dominante della sua spiritualità. Così tanto che egli si consacrò al Signore con la professione dei consigli evangelici proprio per poter testimoniare fino in fondo la bellezza e la ricchezza dell’essere secolare.

Una logica in contro tendenza rispetto all’idea che le cose del mondo ostacolano la piena adesione al vangelo del Regno. Era stato padre Agostino Gemelli, francescano, che aveva avuto questa intuizione profetica nei primi decenni del secolo scorso, e aveva fondato gli Istituti secolari della regalità di Cristo. Dovrebbe vivere in questa stagione ecclesiale per godere i frutti della sua contrastata e incompresa creatura, soprattutto grazie alla Gaudium et Spes del Vaticano II e all’Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Ecco sì, Francesco d’Assisi, che padre Gemelli aveva scelto come modello e padre per i suoi consacrati nel mondo. L’amico Enzo ha interpretato in pieno questa vocazione e desidero parlarne per farla conoscere, perché la ritengo assai attuale in questo tempo in cui si fa appello alla responsabilità laicale e si registra la scarsa disponibilità dei cristiani ad occuparsi della cosa pubblica. Era attivo negli organismi di partecipazione parrocchiali e diocesani ma anche nel sindacato e nel quartiere; collaborava nella programmazione pastorale, ma facendo sentire la voce degli operai, dei poveri, delle persone in difficoltà, aiutando la comunità a prendersi cura di loro con la stessa passione con cui veniva curata la liturgia e la catechesi. Non aveva particolari titoli di studio, ma per tanti anni accompagnò i giovani in ricerca e li sostenne nelle loro scelte con amorevole paternità, perché potessero sfruttare al massimo le proprie risorse e non lasciarsi sopraffare dalle fragilità. Era un uomo di dialogo, con le idee chiare, ma conciliante, capace di relazioni feriali mai banali ma di quella intensità che le faceva diventare autentici eventi. Ricordo un corso di esercizi che ebbi la fortuna di poter guidare. Egli era responsabile dell’Istituto ed era presente anche il presidente Scalfaro, che ne faceva parte ed era venuto per rinnovare la sua consacrazione. Durante una conversazione serale, inevitabilmente monopolizzata dall’ampia esperienza dell’alta carica dello Stato, Enzo intervenne con la sua stimata pacatezza per fare presenti alcune esigenze sociali non sufficientemente attese dalla politica. Lo percepiva come un dovere e lo praticava con parresia evangelica. Due in particolare erano i suoi modelli di riferimento: il servo di Dio Giorgio La Pira e l’allora rettore dell’Università Cattolica Ezio Franceschini. Da lui ho imparato molto anch’io, soprattutto nell’arte di ascoltare, nel saper leggere i segni dei tempi e nel cercare insieme, vincendo la tentazione di offrire sempre soluzioni e di prendere posizione. Spero venga raccolto presto il suo ricco bagaglio di testimonianza e di parola. Ne hanno bisogno sia il mondo laico che quello ecclesiale. E altri giovani scoprano che sono possessori di un grande tesoro che attende di essere dissotterrato.

 don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.47 – 18 dicembre 2016