Gloria di Dio è l’uomo vivente

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PAROLA DI DIO –  III domenica di Avvento

LETTURE: Is 35,1-6a.8a.10; Dal Salmo 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

Gloria di Dio è l’uomo vivente

Is 35,1-6a.8a.10: “Essi vedranno la gloria del Signore…”.

Un breve testo di Isaia tratto dalla ‘piccola apocalisse’, che annuncia la venuta del Signore a compiere giustizia. Le due espressioni chiave sono: “Essi vedranno la gloria di Dio” e “Egli viene a salvarvi”. In che cosa consiste la gloria di Dio e la sua salvezza? Gloria di Dio e salvezza si manifestano nel suo intervento a favore dell’uomo, capovolgendo le situazioni di sofferenza e schiavitù in situazioni di liberazione e gioia. Aprire gli occhi ai ciechi, fare udire i sordi, far saltare gli zoppi, far gridare di gioia i muti, fare ritornare alla propria terra gli esiliati: in questo capovolgimento della condizione dell’uomo si manifesta la gloria di Dio e la sua magnificenza e si realizza la sua salvezza. Così tornerà la gioia e la felicità, la voglia di operare e di rimettersi in cammino e scomparirà il timore: “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Coraggio, non temete”. Ecco dove l’azione salvifica di Dio diventa reale.

Dal Salmo 145: “Vieni, Signore, a salvarci”.

Questo inno invita a lodare il Signore, aprendo il cuore alla fiduciosa attesa del suo intervento guaritore e liberatore. Su di Lui si può contare perché è “fedele per sempre”. La sua azione è concreta ed è rivolta in favore dell’uomo in condizione di sofferenza, fragilità, debolezza: gli oppressi, gli affamati, i prigionieri, i ciechi, chi è caduto, i forestieri, orfani e vedove. I malvagi sono messi in guardia perché egli “sconvolge le vie dei malvagi”. Chi vuole condividere l’azione del Signore è chiamato a condividere l’impegno in queste azioni concrete in favore dell’uomo, farsi partecipe delle sue opere di misericordia.

Gc 5,7-10: “Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori”.

Con quale atteggiamento vivere l’attesa dell’incontro con il Signore? Nell’attesa del Signore noi siamo sottoposti a tante prove. L’atteggiamento principale indicato dall’apostolo Giacomo è la ‘costanza’ o la ‘pazienza’ quale virtù necessaria per non venir meno o soccombere sotto il peso delle prove. Quattro volte ricorre questa parola ed è illustrata attraverso l’immagine dell’agricoltore che semina il grano e poi attende ‘con costanza o pazienza’ che quel seme porti frutto, consapevole che ora il frutto non dipende più da lui ma è affidato alle alterne vicende meteorogiche che devono assicurare le piogge autunnali dopo la semina perché possa nascere e crescere e quelle primaverili perché il frutto possa giungere a maturazione. Egli attende senza perdere la speranza, con costanza e fiducia. Così è l’attesa del credente. Un ambito particolare nel quale esercitare la pazienza e la sopportazione e quello del non lamentarsi gli uni degli altri, del non essere severi giudici dei fratelli, sapendo che alla venuta del Signore anche noi saremo sottoposti al suo giudizio, che speriamo misericordioso. Nel v. 11 non citato nella lettura odierna l’apostolo aggiunge infatti: “Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione”.

Mt 11,2-11: “Sei tu colui che deve venire?”

Il brano del vangelo presenta due piccole unità per aiutarci a riconoscere in Gesù di Nazaret la qualità del Messia e della sua missione. Nella prima parte è la parola stessa di Gesù in risposta alla domanda del Battista, ma rivolta a chiunque si interroga sulla sua persona, sia ieri che oggi: “Sei tu colui che deve venire…?”. Con la sua risposta Gesù invita a confrontare ciò che Egli sta compiendo con quanto scrivono i profeti dell’agire Dio in favore degli uomini, facendo riferimento alle pagine dei profeti, come quella del profeta Isaia che abbiamo appena ascoltato. Nella attenzione e nell’azione di Gesù per ogni uomo bisognoso di salvezza (ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, morti, poveri) è presente e si manifesta la gloria, la magnificenza e la salvezza di Dio. Sono proprio quei suoi gesti a manifestare che in Gesù Dio è presente e offre salvezza. Gesù di Nazaret è dunque l’Inviato di Dio, il suo Messia umile, che si prende cura e salva gli uomini, specie i poveri e i deboli. “È beato colui che non si scandalizza di me”. Chi si aspetta un Messia diverso, potente e dominatore, deve riconoscere che non è quello il Messia annunciato dalle antiche Scritture. Dalla predicazione austera con cui il Battista annunciava la venuta del Messia si deve passare all’atmosfera di gioia e di esultanza perché in Gesù Dio è all’opera per liberare e salvare.

Nella seconda parte del brano evangelico Gesù riconosce che nella missione del Battista si realizza l’oracolo del profeta Malachia: Giovanni “è quell’Elia che deve venire”. Egli, novello Elia, con la sua predicazione ha preparato il popolo a riconoscere e accogliere in Gesù di Nazaret il Messia. Dunque il tempo dell’attesa è finito, il Regno è presente e sta facendo irruzione nel mondo e richiede disponibilità e coraggio. Tempi nuovi esigono atteggiamenti nuovi, esigono il coraggio e la decisione di cambiare la propria vita per adeguarla alla volontà di Dio che è proclamata dal Messia suo inviato. Avvento diventa allora consapevolezza che in Gesù, ora Risorto e Vivente, Dio è sempre all’opera per salvare. Alla sua azione salvifica in favore degli uomini il credente è chiamato ad aprirsi e al contempo cooperare, in attesa del suo ritorno glorioso.

+ Adriano Tessarollo

Da Nuova Scintilla n.46 – 11 dicembre 2016