frutti del Giubileo

frutti-giubileo
Facebooktwitterpinterestmail

SGUARDO PASTORALE

I frutti del Giubileo

Vorremmo poter elencare i frutti dell’anno della misericordia che si conclude oggi in tutte le Diocesi con la chiusura della porta santa. Il pensiero va subito alle questioni relative al sacramento della Riconciliazione, al cammino ecumenico e al dialogo interreligioso, all’accoglienza del diverso, profugo o migrante che sia, alla corresponsabilità ecclesiale; così come alle attese sul fronte della carità, le opere della misericordia appunto, che impegnano non soltanto nei confronti dei lontani ma ancor prima verso le persone che la provvidenza ci ha messo accanto, dal coniuge al compagno di lavoro, dai membri della famiglia a quelli della comunità cristiana. A riguardo di queste problematiche dei frutti si sono visti, ma non così evidenti e diffusi da poterli esporre come novità peculiari di questo evento ecclesiale. Ciò che va sottolineato invece è l’introduzione di una nuova mentalità, quella dell’apertura, della vicinanza, dell’incontro. Sono solo tre verbi, ma servono ad amplificare il concetto, ribadito più volte da papa Francesco e approfondito dal Convegno ecclesiale di Firenze, di una Chiesa in uscita, di una Chiesa che abita il territorio, di una Chiesa che annuncia, accompagna e trasfigura.

Sono cresciuto in una comunità preoccupata della propria integrità e purezza, intenta a salvaguardare i propri valori non solo dagli attacchi diretti ma anche da qualsiasi compromesso, disposta a nascondere pur di non scandalizzare e pronta a esigere piena conformità alla norma. Non so se si poteva definire “chiusa” in se stessa, ma la Chiesa di questo anno giubilare mi si presenta come “aperta” sul mondo, disposta a riconoscere anche i propri limiti e a comprendere quelli di tanti fratelli impelagati nelle faccende mondane e assorbiti loro malgrado in una cultura materialista ed edonista; l’idea della porta aperta sulla realtà per metterla in comunicazione con la grazia che comprende, accoglie e perdona rimane l’icona più significativa; si chiude oggi quella simbolica del tempio, ma rimane aperta la breccia, temuta da alcuni, attraverso la quale lo Spirito soffia la sua forza rinnovatrice.

Ho conosciuto una Chiesa luminosa e attraente, verso cui erano rivolti gli sguardi per attingere ideali forti, capace di aggregare e condurre con chiarezza alla realizzazione di progetti coraggiosi. La Chiesa di questo anno giubilare è forse un po’ più opaca e stanca, ma più umana, più vicina alle piazze, ai mercati, ai tribunali, alle carceri dove un’intera umanità si dibatte e a volte giace, incapace di interiorità o chiusa allo spirituale; è la chiesa dell’intervento spiccio che non proclama magari tutta la verità ma testimonia quella fondamentale della cura e della consolazione; è sempre quella delle nostre comunità cristiane ma meno preoccupate del giudizio e più inclini alla comprensione e alla misericordia.

Mi sono sempre portato dietro come un tormentone quel concetto di “incontro con Cristo” che traghettava la fede da idea astratta a esperienza vitale, per cui aderire a Cristo significava avere uno sguardo nuovo sulla realtà e avviare percorsi anche sociali di matrice cristiana. In questo anno giubilare l’incontro con Cristo è rilanciato in tutta la sua verità attraverso l’incontro con l’uomo, soprattutto il più debole e indifeso, l’uomo senza privilegi che conta unicamente sull’amore del Crocifisso e di quanti si sentono chiamati a renderlo storicamente visibile e trasformante

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.42 – 10 novembre 2016