Dio non dei morti ma dei vivi

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PAROLA DI DIO – 32ª domenica del tempo ordinario C

Letture: 2Mac 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38.

Dio non dei morti ma dei vivi

2Mac 7,1-2.9-14. “…il re dell’universo… ci risusciterà a vita nuova ed eterna ”

Il racconto del martirio dei sette fratelli maccabei e della loro madre è drammatico e istruttivo per tutti. Di fronte all’esperienza del martirio, cioè del morire per restare fedeli al Signore e ai suoi comandi, la fede d’Israele s’interrogò come fosse possibile che Dio abbandonasse alla morte chi gli è stato fedele, a prezzo della sua stessa vita. La narrazione di 2Mac 7 rivela attraverso le parole della madre e dei sette fratelli la fede ebraica su questo tema. Le parole di quattro fratelli (sono tralasciate quelle degli altri tre e della madre) sono l’annuncio chiaro che la risurrezione e l’entrata nella vita eterna rappresentano la speranza certa di quelli che in vita sono fedeli al Signore. Dio interviene in favore dei suoi fedeli col dono della partecipazione alla pienezza di vita nella comunione con Lui attraverso la risurrezione dopo l’esperienza della morte. Per i persecutori o per chi rinnega la fede si prospetta una “risurrezione non per la vita”.

Dal Salmo 16. “Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto”.

Il salmo 16 (17) è la preghiera del giusto perseguitato che invoca dal Signore la liberazione dalle insidie e dalla violenza dei persecutori e dalla morte che i malvagi gli vogliono infliggere. Nei versetti finali il salmo esprime la speranza della sua eterna comunione con il Signore: “…Io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine”. Il risveglio illuminato dal volto di Dio è preannuncio della risurrezione del giusto. Così il lento cammino della speranza d’Israele s’andava via via illuminando, man mano che prendeva corpo la certezza che Dio non avrebbe abbandonato il suo fedele alla morte eterna.

2Ts 2,16-3,5. “Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo”

Il breve testo alterna preghiere, esortazioni e rassicurazioni. In forte risalto è messa anzitutto l’azione di Cristo unita a quella di Dio (Padre), definita da una serie di verbi. Gesù e Dio ci hanno amati, ci hanno dato per grazia una consolazione eterna e una buona speranza, confortano i cuori, li confermano in ogni opera e parola di bene, liberano, sono fedeli, rendono forti e custodiscono dal maligno, orientano i cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo. La vita cristiana dunque è concepita come azione di Dio in noi, nei vari aspetti del nostro essere e vivere: azione, parola, sentimenti, orientamenti, forze, resistenze e debolezze. L’azione di Dio pervade tutto il nostro essere. All’azione di Dio corrisponde l’accettazione e l’impegno dell’uomo: riconoscere la parola, accogliere la fede, compiere con costanza la sua volontà. Ma c’è anche chi oppone a Dio il rifiuto (“Non è da tutti credere”) e ostacola la diffusione della Parola ai predicatori, compreso Paolo. Per questo Paolo prega per i Tessalonicesi, ma chiede che anch’essi preghino per lui e per la sua missione apostolica. Tengano per certo che il Signore è fedele, e se loro non oppongono rifiuto egli darà loro la costanza di camminare nell’amore e nella speranza.

Lc 20,27-38. “Dio non è dei morti ma dei vivi”

L’annuncio della risurrezione come via alla vita eterna ha avuto uno sviluppo lungo e lento in tutto l’Antico Testamento. Alle soglie del Nuovo Testamento alcune pagine dei libri del profeta Daniele, dei Maccabei e della Sapienza annunciano che Dio renderà partecipi alla comunione con Sé i suoi fedeli che lo hanno amato, invocato, e che in Lui hanno posto la loro fiducia. La predicazione di Gesù aveva il suo punto più qualificante nell’annuncio della ‘risurrezione dei morti’ come via di partecipazione alla piena e duratura comunione con Dio in una nuova condizione di vita. I sadducei, cioè le famiglie sacerdotali, invece, negavano che vi fosse risurrezione dei morti, che essi intendevano come il semplice ritornare alla vita di prima. Essi si servono di una parabola per sottolineare la situazione di contrasto con l’insegnamento biblico sul matrimonio se vi fosse ‘risurrezione dei morti’ come da loro intesa. A chi andrebbe in sposa una donna che, rimasta sei volte vedova, fosse appartenuta legittimamente a sette mariti, se vi fosse risurrezione dei morti? La risposta di Gesù diventa nuova ‘rivelazione’ su due temi importanti: la condizione dei ‘risorti’ e l’idea di Dio. “I figli di questo mondo prendono moglie e marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire…”. La nuova situazione sarà diversa dall’attuale e sarà uno stare alla presenza di Dio e servirlo, come “gli angeli”, non più come nella condizione terrena, e il risorto (figlio della risurrezione) sarà erede e quindi partecipe della vita del Padre.

 Il secondo argomento poggia sull’idea che Gesù ha di Dio, sostenuta con quelle stesse Scritture con le quali i sadducei volevano mostrare che Gesù era in contraddizione. “Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè (che i sadducei avevano citato all’inizio della loro parabola) a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti ma dei vivi: perché tutti vivono per lui”. Sarebbe proprio un Dio dei morti se quanti lo hanno amato e in lui hanno creduto e sperato finissero miseramente nel nulla. Invece è Dio dei vivi perché tutti coloro che gli sono stati amici li farà partecipi della sua vita: tutti vivono per lui!

La vita cui Dio chiama l’uomo non è un dono temporaneo, perché, grazie all’amore di Dio per l’uomo, la comunione con Lui non sarà interrotta neppure dalla morte.

+ Adriano Tessarollo

Da Nuova Scintilla n.41 – 06 novembre 2016