Ripartire dalla misericordia

Zenna don Francesco
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SGUARDO PASTORALE

Ripartire dalla misericordia

Quante storie abbiamo accostato in questo periodo estivo! Storie nuove, storie forti, storie private, luoghi concreti di quelle gioie e sofferenze che accompagnano il vissuto di ciascuno. La vita del fratello rimane appiccicata alla nostra, se non ce la scrolliamo volutamente di dosso. Non siamo più gli stessi di prima, perché le storie che abbiamo ascoltato hanno rievocato vissuti anche inconsapevolmente rimossi, i suggerimenti che abbiamo dato hanno sfidato i nostri comportamenti, il volto di quelle persone – anche se sono tornate ad un feriale lontano – riflette un’umanità da assumere e da amare, un’umanità a cui apparteniamo e di cui siamo chiamati a farci carico.

Ora siamo entrati nel mese della ripresa. Si ritorna dalle vacanze, riapre la scuola, si recupera il quotidiano. Anche la pastorale viene interpellata come forma collaudata della vita delle nostre comunità. La pastorale è l’arte di rendere attuale il contenuto e il significato della famosa parabola del pastore, raccontata da Gesù. Egli descrive una relazione di amore, di cura, di conoscenza, di ascolto, di reciprocità, che sostanzia la missione non solo dei presbiteri, cui è comunemente riconosciuto il ruolo di pastori del popolo di Dio, ma anche della comunità cristiana al proprio interno e nel suo rapporto con la storia.

Cosa significa allora riprendere il cammino pastorale, avviare un nuovo anno pastorale? Significa riprendere le relazioni. Certo, è necessario individuare i catechisti, rilanciare il coro, aggregare nuovi volontari al centro d’ascolto, fare il censimento dei fanciulli e dei ragazzi dell’iniziazione cristiana, richiamare i “dispersi” all’impegno della Messa domenicale. Ma tutto questo deve correre i binari del rapporto umano. È capitato anche a me di sfoderare l’arma della pretesa, di avanzare il diritto alla disponibilità spontanea, addirittura di rimproverare presunte forme di accidia. Ma annovero queste esperienze tra gli errori commessi. Nella maturità ho imparato ad agire molto diversamente. Ho imparato a rispettare i tempi e le energie delle persone, a comprendere le potenzialità e a incanalarle, a entrare innanzitutto dentro la loro storia, a coinvolgere non tanto in un compito ma in un percorso, a condividere, mai a delegare.

Sono convinto che la pastorale è un modo di essere, prima che qualcosa da fare. Essere orientati a Cristo, nostra guida e forza. Essere in cordata, sorretti l’uno all’altro, nella bella esperienza della vita di comunità. Essere innamorati del Vangelo e suoi gioiosi testimoni. Essere disponibili alle sorprese della grazia che passano attraverso la vita delle persone, che amiamo accogliere prima che giudicare. Essere pronti a partire, ad andare incontro, a lasciare le sicurezze dell’ovile. Essere ovunque c’è una domanda di senso, di ricerca, di prossimità. Esserci, tanto che ci si possa trovare e incontrare, che si possa contare su di noi.

Ma intanto bisogna ripartire. Non dimentichiamo che siamo ancora nell’anno giubilare della misericordia. Partiamo dunque da lì. Inginocchiamoci, sull’esempio di papa Francesco, davanti al crocifisso e chiediamo per mezzo di un suo ministro la grazia del perdono per le nostre infedeltà, le nostre cadute, le nostre indifferenze, la nostra superficialità, i nostri conati di orgoglio, le invidie e le gelosie che abbiamo coltivato, le critiche e le mormorazioni, le accuse e le intemperanze… e diventeremo capaci di ascolto, di pazienza, di fiducia nell’azione dello Spirito. Sì, sto pensando prima di tutto a noi presbiteri, ma la pastorale è azione di tutta la comunità e di ognuno dei suoi membri, ciascuno con il proprio carisma e ministero e l’identica missione: dare volto e parola a Gesù buon pastore.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.33 – 11 settembre 2016