Arricchire davanti a Dio

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PAROLA DI DIO – 18ª domenica del tempo ordinario C

LETTURE: Qo 1,2; 2,21-23; Dal Salmo 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21

Arricchire davanti a Dio

Qo 1,2; 2,21-23. “Quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica?”

L’autore guarda alla vita dalla posizione di chi è avanti nell’esperienza e si prospetta per lui il tempo della fine, di fronte alla morte. A quel punto si chiede quale senso abbia avuto la sua passione per la quale si è affannato e affaticato per accumulare cose e realizzare programmi. Perché tanto affanno? “Vanità della vanità” ovvero ‘completa assurdità’! In poche righe poi troviamo la concentrazione di termini come ‘vanità, fatica e affaticarsi, sventura, affanno, dolori, preoccupazioni penose, non riposo’. Quale rimedio viene proposto di ‘lavorare con sapienza, con scienza e con successo’. Il tutto è misurato di fronte alla prospettiva del dover comunque ‘lasciare i propri beni’ accumulati con tanta fatica e perizia insieme. La domanda cruciale è: il frutto della fatica è un bene per cui valga la pena di vivere e faticare? Non che le cose, il lavoro, la sapienza, la scienza, il successo non abbiano valore in sé, ma che senso ha tutto ciò per cui l’uomo è prima pienamente e affannosamente coinvolto e poi ne è tagliato completamente fuori dalla morte? Il testo si ferma qui: pone il problema, senza risolverlo. Il vero senso emergerà negli scritti successivi della Bibbia e principalmente di fronte alla risurrezione di Cristo e alle sue promesse.

Dal Salmo 89. “Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione”.

La condizione della vita dell’uomo è precaria, esposta alle sofferenze e consegnata alla brevità dei suoi giorni. Questa consapevolezza è importante per tutti gli uomini: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”.

Dio è rifugio certo, perché Egli non è una creazione dell’uomo, ma Egli da sempre esiste: “Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, o Dio”; “Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato”. Dunque egli non è soggetto all’usura del tempo, anzi Egli è Signore del tempo e della storia e da lui dipendono i destini del modo e dell’uomo: “Tu fai ritornare l’uomo in polvere… come l’erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca”. È saggezza temere il giudizio di Dio e regolarsi di conseguenza in una vita di conversione e invocare la sua misericordia: “Abbi pietà dei tuoi servi!… Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti”. Dai tu consistenza alla nostra vita altrimenti caduca.

Col 3,1-5.9-11. “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù…”.

Nel battesimo siamo associati a Cristo ‘risorto’ e ‘assiso alla destra di Dio’, cioè partecipe alla vita divina. Chiamato dunque alla comunione di vita con Cristo e con Dio, è questa vita che il cristiano deve cercare, è di cui deve darsi pensiero: “Cercate le cose di lassù”. L’apostolo ci ricorda che tutta la vita del credente è redenta in Cristo, è nascosta in lui, e opera interiormente in attesa di manifestarsi nella gloria finale. Ora è come il seme gettato sulla terra, che non si vede, ma è vivo e sta preparando il frutto abbondante che si manifesterà al momento di raccogliere la messe. Lussuria e cupidigia sono due aree in cui il cristiano deve esercitare la sua ‘mortificazione’. Nel primo atteggiamento si manifesta la schiavitù dell’uomo abbandonato a se stesso, nel secondo si manifesta l’idolatria di mettere davanti a tutto, anche a Dio, il possesso di beni: “Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazioni, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria”. Il battesimo significa che il cristiano si spoglia dell’uomo vecchio, schiavo del vizio e lontano da Dio e rinasce come creatura nuova, rivestendo l’immagine di Dio, fondamento di quell’umanità nuova che si caratterizza non tanto per razza, tradizioni, culture, stato sociale, ma per la nuova qualità di vita resa possibile dalla comunione con Cristo. Ecco perché: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti”.

Lc 12,13-21. “Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia…”.

Un tale si rivolge a Gesù e lo invita a intervenire nella divisione dell’eredità con un suo fratello. Talvolta si interpellava un profeta o un uomo di Dio per comporre le liti che nascevano in simili circostanze. Gesù rifiuta di intervenire, mostrando così che Egli è stato inviato per occuparsi delle realtà ultime, del Regno di Dio che deve venire. Gesù poi mette in luce la radice delle liti che sorgono in occasione della divisone dell’eredità: è la cupidigia, lo smodato desiderio di possedere sempre di più, atteggiamento che nelle comunità giudaiche e cristiane, come ha appena ricordato san Paolo, è paragonato all’idolatria. “Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”. Il senso della vita cioè non sta nella sovrabbondanza dei beni. Questo evidenzia la parabola. Infatti anche l’abbondanza di beni non dà pace a chi li possiede perché richiede continuamente di pensare a come conservarli e moltiplicarli: “Che farò? … Farò così…”. Il godimento dei beni – la pace e la gioia – è rimandato a quando questi sono abbondanti: “…hai a disposizione molti beni, per molti anni riposati, mangia, bevi e divertiti”. In tutti questi progetti Dio non ha considerazione alcuna. Ma ecco che interviene anche Dio, che scuote e sconvolge i suoi calcoli. Tutti i suoi progetti che nascono dal desiderio smisurato di possedere si infrangono di fronte alla realtà, non importa se imminente, comunque certa: “Stolto, questa stessa notte ti sarà richiesta la tua vita”. L’osservazione finale rimanda ad un’altra considerazione: è possibile servirsi dei beni abbondanti che ad alcuni sono concessi più che ad altri non per “accumulare per sé” ma per “arricchire davanti a Dio”. È la prospettiva della Chiesa lucana che usa i beni terreni per condividerli con i poveri: così facendo si arricchisce davanti a Dio e si investe in ciò che permane anche dopo la morte e che nessuno può sottrarre.

 + Adriano Tessarollo