Fra tradizione e innovazione

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CHIESA DEI FILIPPINI

La messa del sacerdote novello chioggiotto don Giovanni Caruso Spinelli, della comunità S. Pio X

Fra tradizione e innovazione

Prima messa solenne a Chioggia nella chiesa dei padri Filippini del concittadino don Giovanni Caruso Spinelli domenica 3 luglio. Il novello sacerdote, che è stato ordinato mercoledì 29 giugno scorso a Ecône in Svizzera, è originario della parrocchia di San Martino di Sottomarina, fa parte della fraternità sacerdotale di San Pio X ed ha quindi celebrato la messa in latino, secondo il rito di San Pio V. Una messa molto partecipata per la presenza di tanti amici e parenti venuti anche da fuori Chioggia, di compagni di liceo e di molti sodali di Comunione e Liberazione locali e non, gruppo ecclesiale in cui il giovane sacerdote si è formato da bambino e nella prima giovinezza.

Nella celebrazione eucaristica il novello sacerdote, che vestiva impeccabili paramenti liturgici adeguati con tanto di manipolo e berretta crucis, è stato assistito dal superiore generale per l’alta Italia della Comunità in piviale, dal diacono e suddiacono in dalmatica, da alcuni sacerdoti e chierici e da una specifica corale.

Da sottolineare la partecipazione del popolo presente in chiesa sempre all’altezza nei diversi momenti dei canti. L’ingresso processionale con l’antifona “Asperges me, Domine, hyssopo et mundabor” ha veramente commosso perché ci ha riportati alla nostra fanciullezza, ai tempi degli ultimi anni di vita del Venerabile filippino padre Raimondo Calcagno, quando, con i numerosi padri della Congregazione allora presenti a Chioggia, oltre all’amore per Cristo, alla Carità e alla Chiesa ha fatto crescere in noi l’amore verso le cose belle e soprattutto fatte bene, come può essere una messa cantata celebrata “in terzo”. Nulla deve essere improvvisato, ci insegnavano allora i padri.

 

E così è stato per tutta la messa di don Giovanni: l’incedere, i gesti, le diverse intonazioni, l’uso degli oggetti sacri; tutto è stato improntato alla sacralità del momento, culminante nella Consacrazione. In questa messa “tridentina” si percepiva la bellezza di Dio e del suo Regno celeste, anche grazie al suono dell’organo e al canto gregoriano! Eppure… Una così bella esperienza, nello stesso istante in cui la vivevo mi ha fatto apprezzare di più la nuova messa secondo la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II.

Dopo che il suddiacono ha cantato in latino l’epistola dando le spalle al popolo e il diacono la pericope del Vangelo sul lato sinistro dell’abside, ho capito che la tradizione non deve essere solo qualcosa di statico fatta di passato. Ho capito che tradizione vuole dire tramandare anche quello che noi siamo diventati grazie alla Sacra Scrittura, sperimentata e vissuta dopo averla compresa per quel tanto che ci è dato comprendere in questo nostro momento della storia. Ho capito che la Santa Messa è contemporaneamente Sacrificio di Cristo e Banchetto Eucaristico e che nella “messa tridentina” tutto converge verso il Sacrificio di Cristo mentre la Parola è riservata al sacerdote. Nella Messa post-conciliare, invece, tutto converge verso il “banchetto eucaristico”, fatto della Parola e del Corpo di Cristo, tutte e due per tutti! Ho capito che anche la messa di papa Ghisleri nel secolo XVI rappresentava allora, cinque secoli or sono, una innovazione se non una rottura con il passato, con la tradizione, sia nell’uso dei nuovi abiti liturgici (con la sostituzione della pianeta all’antica casula più pesante e ingombrante), del libro di preghiere (nuovo messale), nei gesti rituali e in alcune forme musicali. Ho capito pure che riforma non vuole dire sciatteria; non vuole dire vivere il sacro come non lo sia affatto, in fretta e con superficialità. Essere moderno non vuole dire definire tutto quello che sa di passato come qualcosa di ammuffito e stantio. Ho capito che il canto gregoriano è un grande patrimonio della Chiesa che deve essere salvato e reintrodotto come si deve. Tradotto in vernacolo o direttamente in latino, esso ha ancora tanto da dirci. E soprattutto che una messa in italiano celebrata o concelebrata come si deve può elevare l’anima dell’uomo d’oggi più di quanto possa fare quella in latino.

Ruggero Donaggio

Da Nuova Scintilla n.27 – 10 luglio 2016