Fu preso da grande compassione

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PAROLA DI DIO – 10ª domenica del tempo ordinario C

LETTURE: 1 Re 17,17-24; Dal Salmo 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17

Fu preso da grande compassione

1 Re 17,17-24. “Ora so che … la parola del Signore sulla tua bocca è verità”.

La vedova di Sarepta e suo figlio avevano condiviso con il profeta Elia, cui avevano dato ospitalità, il pane fatto con l’ultima manciata di farina e le ultime gocce di olio loro rimaste. Ma il profeta aveva loro assicurato che quella farina e quell’olio non sarebbero finiti finché non fosse terminata la siccità che aveva provocato la carestia. Ora il figlioletto si ammala e muore. La fiducia della vedova nel profeta Elia e nella sua parola viene meno. Ma il profeta chiede alla vedova il corpicino del figlio, lasciando intendere una qualche promessa. Il profeta prega, chiede l’intervento di Dio e il bambino ritorna a vivere ed Elia lo consegna alla madre. La conclusione è che la madre conferma ora la sua fede nella parola del Signore che le giunge attraverso la voce del profeta: “Ora so che … la parola del Signore sulla tua bocca è verità”. Nel credo anche noi diciamo: “Credo nello Spirito Santo che … ha parlato per mezzo dei profeti”. Con quale atteggiamento noi ci poniamo di fronte alla Parola del Signore che ci viene proclamata e che è giunta a noi attraverso la voce e la penna di tanti profeti, primo fra tutti Gesù?

Dal Salmo 29. “Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato”.

Il ringraziamento nasce dall’esperienza della salvezza e della misericordia, per le quali Dio ci tira fuori da una situazione dalla quale ci sembrava non ci fosse alcuna via di uscita. Colui che prega nel Salmo era giunto, come si dice, nell’anticamera della morte, ma ne è uscito vivo. Da quella sua esperienza nasce la sua fede nel Signore “che fa risalire la vita dagli inferi, che fa rivivere… la collera del Signore dura un istante, la sua bontà per tutta la vita”. E anche la preghiera rinasce nel suo cuore: “Ascolta, Signore, abbi pietà di me, Signore, vieni in mio aiuto”. Il gesto del profeta Elia prima e quello di Gesù poi, danno fondamento anche al nostro pregare per essere liberati dalla morte ed essere partecipi della risurrezione e della gloria di Gesù. Dalla caduta del peccato Cristo ci risolleva col perdono e dall’abisso della morte Egli ci risolleva rendendoci partecipi della sua gloria.

Gal 1,11-19. “Dio mi scelse, si compiacque rivelare a me il Figlio suo perché lo annunciassi”.

Iniziamo ad ascoltare per cinque domeniche quanto l’Apostolo Paolo testimonia della sua esperienza di apostolo di Cristo nella Lettera ai Galati. Gli sta a cuore rassicurare i cristiani della Galazia, che ora rischiano di allontanarsi dal vangelo da lui loro predicato per rincorrere vecchie tradizioni nate da ‘modelli umani’ che verrebbero a prendere il posto del vangelo. La prima rassicurazione che Paolo offre loro è che il vangelo che lui annunzia non l’ha imparato da uomini, ma l’ha ricevuto ‘per rivelazione di Gesù Cristo’. È stata l’esperienza straordinaria del suo incontro con Gesù Risorto che gli ha cambiato la vita e ha cambiato anche la sua missione e la sua predicazione. Tutto il suo zelo precedente per la ‘tradizione dei padri’ ora si è riversato su Gesù Cristo e sulla sua Parola che egli ha annunciato loro e che continua ad annunciare dovunque: non abbandonino dunque il vangelo facendo dipendere la salvezza dall’osservanza di regole stabilite dagli uomini. Non è mancato a Paolo neppure il confronto con gli altri apostoli, specie Pietro e Giacomo, a Gerusalemme. In quel vangelo dunque stiano saldi, senza tentennamenti. Paolo si è sentito chiamato da Cristo a votare la sua vita al Vangelo della salvezza offerta da Cristo agli uomini. E sta compiendo questa sua missione anche a prezzo della sua stessa vita.

Lc 7,11-17. “Vedendo, il Signore fu preso da grande compassione…”

Raccontando questo episodio della vita di Gesù l’evangelista Luca vuole proporre al lettore l’amore di Gesù che manifesta la sua forza nella sua Parola e nei suoi Gesti. Gesù vede una mamma, già vedova, che piange il suo unico figlio. Il suo dolore è davvero grande. Gesù entra subito in sintonia con quel dolore e vi prende parte, preso da ‘grande compassione’. C’è proprio quel verbo che fa riferimento alla commozione e alla tenerezza dell’amore che ha le sue radici nel grembo materno. Quella commozione e tenerezza spinge Gesù a dire alla mamma di quel bambino “Non piangere”. Quell’amore di Gesù rivela lo stesso amore di Dio, amore che porta a partecipare alla sofferenza altrui e a portarvi consolazione. Come? Gesù si accosta alla barella dove giace il corpicino del ragazzo avvolto in un lenzuolo, lo tocca e proclama la sua parola di inviato di Dio, di profeta. La sua parola è efficace, compie ciò che annuncia. Il figlio è cosi riconsegnato vivo alla mamma. La gente presente commenta il fatto: “Un grande profeta è sorto tra noi” e “Dio ha visitato il suo popolo”. Gesù è l’inviato di Dio, il profeta, nelle cui parole e nei cui gesti d’amore si riconosce che Dio sta visitando il suo popolo. Una visita non da temere ma da invocare, è la visita del Dio misericordioso che viene a salvare, una visita per la quale lodare il Signore, come cantano anche il ‘Benedictus’, il ‘Magnificat’ e il salmo che abbiamo appena proclamato.

+ Adriano Tessarollo