Neanch’io ti condanno…

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PAROLA DI DIO – Letture:  Is 43,16-21; Salmo 125; Fil,3-8-14; Gv 8,1-11.

Neanch’io ti condanno…

Is 43,16-21. “Aprirò anche nel deserto una strada”

Il popolo giudaico si trova deportato nell’impero babilonese, a mille chilometri da Gerusalemme. Ha grande il desiderio di rientrare nella propria terra, non intravvedeva alcuna possibilità di poterlo fare. Ma sorge improvvisamente un profeta che proclama uno strano messaggio: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa…”. Egli cioè invita gli esuli a non pensare partendo da ragionamenti o calcoli politici ma dal ricordo di ciò che Dio ha già operato in passato per il suo popolo. Il profeta continua: “Colui che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti…”. La loro speranza deve fondarsi su quanto Dio aveva fatto in passato quando Israele si era trovato  in analoga situazione senza uscita. Infatti appena uscito dall’Egitto il gruppo dei fuggitivi, incalzato alle spalle dagli inseguitori si era trovata la fuga sbarrata dal mare che gli stava davanti: una situazione senza via d’uscita. Ma il Signore “aprì una strada nel mare”! Se Dio già ha mostrato nel passato cosa vuole e può fare, non gli si dovrà prestare ancora credito per ciò che promette per il futuro? Ecco l’annuncio di speranza del profeta e la fede è dare credito a Dio e alla sua parola. La fede è memoria di ciò che Dio ha operato nel passato, è fiducia certa che Egli continua a operare nel presente, è luce che fa vedere i segni di ciò che sta ‘germogliando’ di nuovo. Così essa alimenta la speranza anche nei momenti di buio e di sofferenza.

 

Salmo 125. “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”.    

Dal pianto alla gioia, per opera di Dio! Dalla schiavitù alla libertà, per opera di Dio. Una situazione di dolore ritenuta insuperabile e il silenzio della disperazione sono sostituiti dal sorriso e dal canto di gioia perché Dio è intervenuto! “Quando il Signore ristabilì la sorte  di Sion, ci sembrava di sognare…Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia”. Anche i tempi della sofferenza e dell’attesa non sono sterili, sono i tempi in cui il Signore getta dei semi, tempi in cui i semi lavorano anche nascosti sotto terra. Ma verrà il tempo in cui essi germoglieranno e porteranno frutto. C’è un andare, un uscire che è un gettare ‘nel pianto’ un seme dal quale poi al ritorno e al rientro raccogliamo il frutto ‘nella gioia’. Tre aspetti della preghiera nei momenti della prova: ricordarsi che Dio ha già operato favorevolmente e dargli lode, invocarlo perché ancora sostenga nella prova e liberi, e attendere nella speranza il dono che verrà.

Fil,3-8-14. “…Corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù”.

In queste righe, dopo avere invitato i cristiani di Filippi a ‘stare lieti nel Signore’, l’apostolo racconta loro ‘la grandezza della sua esperienza di Cristo’ che gli ha dato un criterio nuovo di valutazione di tutto ciò che conta davvero per la sua vita. L’esperienza dell’incontro con Cristo, della comunione con Lui, dell’averLo come amico, il sentirsi giusto per il perdono e la misericordia che viene da Dio, hanno posto in secondo piano, anzi hanno annullato tutti i possibili motivi di vanto umani o anche religiosi. La conversione dell’apostolo è stata il ‘passaggio’ da un’esistenza incentrata su se stesso e sul proprio vanto morale derivante dalla sua rigida osservanza dei precetti della legge e delle tradizioni giudaiche all’affidarsi a Cristo per mezzo della fede in lui, riconoscendo che la salvezza viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo. Per questo dono egli confida di aver parte al destino di Cristo, morto e risorto. La sua vita ora diventa dono quotidiano per la salvezza dei fratelli, come lo fu la passione e la morte di Cristo, con la speranza di essere, lui e loro, partecipi della sua risurrezione. Conquistato da Cristo, ora l’impegno personale di Paolo è di conformare sempre più la sua vita a quella di Cristo.

Gv 8,1-11. “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.

Gesù compie un gesto e pronuncia una parola che diventano annuncio che Dio non vuole la morte del peccatore ma che egli si converta e viva (Ez 33,11). Ci rivela così il volto di Dio che invita a chiudere col passato per aprirci a prospettive di un futuro nuovo. La scena descritta nel vangelo di Giovanni riecheggia il messaggio di misericordia e di perdono tipico del vangelo di Luca. Gesù dunque è chiamato in causa in un processo popolare il cui esito appare evidente fin dall’inizio. “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. E’ già tutto chiaro: c’è un fatto accertato da testimoni affidabili, conoscitori della legge, gente competente e onorata, scribi e farisei, e la legge parla chiaro! Gesù non discute né della legge né della donna: la trasgressione è evidente e la sentenza è secondo legge. Egli però cerca un’altra via di soluzione del caso, soluzione che interpella gli accusatori pronti alla esecuzione. Che differenza c’è tra la donna e i suoi accusatori? Sono essi giusti e senza peccato, o non sono anch’essi peccatori, bisognosi di perdono come lei? E se Dio trattasse loro come loro stanno trattando quella donna, i loro nomi non andrebbero ‘scritti sulla polvere’ anziché ‘in cielo’, cioè non sarebbero anch’essi condannati? In una preghiera del profeta Geremia (17,13) leggiamo: “O speranza d’Israele, Signore, quanti ti abbandonano restano confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore”. Ma gli accusatori forse non hanno capito il significato di quello scrivere di Gesù sulla polvere e insistono per ottenere la risposta dopo la quale dare inizio alla lapidazione. Allora Gesù a chiare lettere sentenzia: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Chi è il primo che si sente di assumersi la responsabilità di dare il colpo iniziale e decisivo dell’esecuzione? Nessuno inizia e tutti lasciano cadere le pietre e si allontanano. Nel finale rimangono Gesù e la donna, la misericordia e la misera come direbbe sant’Agostino. La parola finale di Gesù svela il senso di tutta la scena: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. Parole che sono insieme riconoscimento, proclamazione di perdono gratuito e chiamata alla conversione in una vita rinnovata.

+ Adriano Tessarollo