PAROLA DI DIO – Misericordiosi come il Padre

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PAROLA DI DIO – Misericordiosi come il Padre

Letture: Gs 5,9a.10-12; Salmo 33; 2Cor 5,17-21;  Lc 15, 1-3.11-32

Gs 5,9a.10-12. “La manna cessò… quell’anno mangiarono i frutti della terra”.

La liturgia ci presenta oggi il racconto della prima pasqua celebrata nella terra promessa. Un  racconto antico della pasqua, con la data aggiornata a quando era diventata fissa unitamente alla festa degli Azzimi. La celebrazione della pasqua, avvenuta “nella steppa di Gerico”, aveva ancora carattere familiare, presieduta dal capofamiglia. Più tardi essa si celebrerà solo nel tempio di Gerusalemme. Questo semplice rito pasquale assume qui grande importanza: esso è la conclusione ufficiale del periodo vissuto nel deserto, che pure era iniziato con la celebrazione della pasqua in procinto di lasciare l’Egitto. Quella era la pasqua della partenza, dell’uscita dalla schiavitù, qui è la pasqua dell’arrivo, dell’entrata nella terra promessa. Lì concludeva il tempo della schiavitù e apriva il tempo della peregrinazione, qui conclude il tempo del pellegrinaggio in cui Israele per 40 anni aveva esperimentato la fedeltà, la pazienza, la misericordia e la provvidenza di Dio e soprattutto era stato mantenuto in vita con il dono della manna. Ora quel nutrimento cessava per essere sostituito con i prodotti della terra che Dio stava per donare al suo popolo, perché in essa vivesse in fedeltà e obbedienza all’alleanza sancita al Sinai.

Salmo 33. “Gustate e vedete com’è buono il Signore”.

Il salmo 33 è un canto di lode a Dio “vicino a chi lo cerca”. L’invito del salmista a partecipare alla sua lode del Signore “in ogni tempo…”, è fondato sull’esperienza della risposta del Signore alle sue invocazioni: “Ho cercato il Signore: mi ha risposto… mi ha liberato… questo povero (il salmista stesso) grida e il Signore lo ascolta e lo salva…”. Ora egli invita tutti i ‘poveri’ a rivolgersi al Signore per trovare gioia e luce: “guardate a lui e sarete raggianti”. Anche Mosè era sceso dal Sinai “raggiante di luce perché aveva conversato con il Signore” (Es 34,29). Guardare lui significa incontrare quel volto insieme divino e misericordioso che risponde a chi lo invoca, che si fa trovare da chi lo cerca, che ascolta e salva.

2Cor 5,17-21. “Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo”.

La salvezza è la riconciliazione che Dio ha offerto e continua ad offrire per mezzo di Gesù Cristo, frutto della sua pasqua, grazie alla quale i nostri peccati sono perdonati. Quel perdono produce in noi lo stesso effetto pasquale dell’esodo, cioè del passaggio dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla riconciliazione, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo: “Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”. E’ questo il ‘passaggio’ pasquale che avviene dentro di noi, reso possibile perché “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece  peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Passione, morte e risurrezione di Cristo sono la sorgente della nuova condizione del credente in Cristo, liberato dal peccato e dalla morte. Da Cristo e dalla sua pasqua scaturisce anche il ministero della Chiesa di farsi portatrice della parola della riconciliazione: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: «lasciatevi riconciliare con Dio»”. Ogni tempo, ogni momento diventa opportunità di grazia da accogliere dal Signore. Per ciascuno di noi il dono della riconciliazione inizia con il battesimo, si rinnova e progredisce nel sacramento della riconciliazione e nella partecipazione alla cena del Signore, realizzando in noi la “creatura nuova”, non più schiava del peccato e lontana da Dio, ma liberata dal peccato e ristabilita nella comunione filiale con Lui. Oggi e domani. 

Lc 15, 1-3.11-32. “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”.

La misericordia per la quale Gesù cerca ed accoglie tutti gli uomini, anche ‘peccatori e gente di cattiva reputazione (publicani)’, provoca scandalo e reazione per le persone che conoscono e studiano le Scritture Sacre (scribi) e cercano di osservare tutte le prescrizioni religiose (farisei). A questa reazione Gesù risponde con tre parabole, per dire loro che Egli si comporta così perché questo è il modo di agire di Dio, e quindi anche loro dovrebbero fare altrettanto, essere cioè misericordiosi come il Padre. Oggi ci viene proposta la terza di queste parabole, solitamente conosciuta come la parabola del ‘figlio prodigo’,  o anche del ‘padre misericordioso’ o del ‘padre esclusivamente buono’. I personaggi della parabola sono tre: Dio, il padre della parabola, i peccatori, rappresentati dal figlio minore che si allontana, e coloro che si considerano giusti e fedeli, rappresentati dal figlio maggiore. All’inizio tutto sembra pacifico. I due fratelli stanno nella ‘casa del padre’ e vi operano sentendosi però più servi che figli, come dirà il figlio maggiore più avanti: “Io da tanti anni ti servo…”. Il figlio minore decide di andare in cerca di libertà e autonomia allontanandosi da casa e dal padre. Richiede dal padre una parte dei beni paterni e si allontana. Lontano da casa “sperperò le sostanze vivendo in modo dissoluto (da spendaccione)”. Rimane senza soldi, è in pericolo la sua stessa vita. Si deve accontentare ora davvero di una condizione di servitù molto bassa, dove a stento riesce a sopravvivere. In questa condizione il pensiero ritorna alla casa del padre: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza…”. Dunque lontano dal Padre non ha trovato né libertà né felicità. Ed eccolo a prendere la decisione: “Mi alzerò e andrò da mio Padre…”. E si mette in cammino verso casa, rimuginando le parole che dovrà dire al padre. Il padre lo vede da lontano, si commuove, gli corre incontro, gli getta le braccia al collo, lo bacia, gli fa portare il vestito più bello, gli fa mettere l’anello al dito, i calzari ai piedi, fa uccidere il vitello grasso e ordina di dare inizio alla festa. Nessun rimprovero, nessun gesto di rifiuto, ma accoglienza, gratuità, perdono: una ‘eccedenza di amore’. Ma questa ‘eccedenza d’amore’ del padre verso il figlio che si era allontanato e aveva “divorato gli averi del padre con le prostitute” risulta incomprensibile al figlio maggiore, che si rifiuta di entrare alla festa. Ecco allora il padre uscire di nuovo, incontro al figlio maggiore: gli parla, lo invita ad entrare alla festa, ascolta le sue lagnanze e lo supplica di entrare a condividere la gioia per il ritorno del “suo fratello”. Entrerà il figlio maggiore alla festa? La parabola non ce lo dice! Sarà il figlio maggiore misericordioso come il padre verso il fratello minore che si era allontanato? Riuscirà il fratello maggiore a fare la sua conversione, cioè passare dal sentirsi servo in casa del padre al sentirsi figlio che è sempre con il padre e condivide tutto con lui? Nel comportamento del padre Gesù identifica lo stile di Dio, che egli conosce e imita. La parabola pone alcune domande anche a noi. Come viviamo l’esperienza di fede e la nostra appartenenza alla Chiesa? Cerchiamo la libertà altrove? Riusciamo a incontrare il volto di Dio come padre pieno di amore, di gratuità, che non gode delle esperienze negative dei figli, ma ne attende il ritorno per offrire riconciliazione? Viviamo la nostra vita di fede come il figlio maggiore che sente di più il peso dell’obbedienza al padre che non la gioia della comunione con lui? Quale sarà il nostro cammino di ‘conversione’?

+ Adriano Tessarollo