Salvati per l’obbedienza di Gesù e la fede di Maria

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Letture: Mi 5,1-4a; Salmo 79; Ebr 10,5-10; Lc 1,39-45

PAROLA DI DIO – Salvati per l’obbedienza di Gesù e la fede di Maria

Mi 5,1-4a. “Egli starà là e pascerà con la forza del Signore”.

A Gerusalemme assediata, mal ridotta, per la quale le strategie del re non danno prospettive di salvezza, improvvisamente il profeta annuncia un progetto divino inatteso: come ai tempi antichi Dio aveva scelto un re nella piccola famiglia di Jesse, il piccolo pastore David, divenuto il re più glorioso d’Israele, così ora rinnoverà le sue opere meravigliose facendo sorgere una nuova guida. Ora Gerusalemme, che confida nelle sue forze e nei suoi idoli, sarà abbandonata da Dio, finché non giunga il tempo in cui “colei che deve partorire” darà alla luce nella piccola città di Betlemme “Colui che pascerà il suo popolo con la forza del Signore…”. Sarà dunque un pastore in mezzo al suo popolo che governerà con la forza stessa di Dio e “Egli stesso sarà la pace”, garantendo la pace “fino agli estremi confini della terra”. Ecco il grande sogno messianico del profeta. Mt.2,6 ha citato questo oracolo per commentare la nascita di Gesù a Betlemme, vedendone il compimento.

Salmo 79. “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”.

Il salmo è una supplica a Dio perché si manifesti al suo popolo con il suo intervento di salvezza, riprendendo per tre volte l’invocazione “Rialzaci… fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (vv. 4.8.20). Per il salmista il popolo ora si trova come un gregge senza pastore, e come una vigna senza protezione e quindi calpestata e distrutta da ognuno che passa. Ma non è Dio il suo pastore? E non è Dio che ha piantato questa vigna? Perché Lui, “Pastore d’Israele” non torna a pascere il suo popolo e Lui, che “ha piantata” questa vigna non torna a prendersene cura, come ha fatto guidando il popolo nel cammino dell’Esodo e ‘piantando’ il suo popolo nella sua terra promessa? Nei momenti difficili Israele ritorna alle fondamentali esperienze di salvezza del suo passato, certo di contare in un Dio che lo ama e può offrirgli salvezza e protezione. A lui chiede: “Tu, pastore, risveglia la tua potenza e vieni a salvarci, …proteggi quello che la tua destra ha piantato…”. Egli chiede che l’inviato di Dio sia sostenuto dalla sua forza: “Sia la tua mano sull’uomo della tua destra”, ma nello stesso tempo esprime l’impegno del popolo a tornare a Lui per tornare a rivivere: “Da te più non ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome”.                                                                                                                                           

Ebr 10,5-10. “Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà”.

L’evento natalizio che ci prepariamo a celebrare nella gioia è l’obbedienza ‘esistenziale’ del Figlio di Dio al Padre: “Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.  Allora ho detto: Ecco io vengo per fare o Dio la tua volontà»”. La nascita di Gesù è il suo entrare nel mondo per vivere ‘nel corpo’ l’obbedienza a Dio e la solidarietà con l’uomo. Grazie a questa sua disponibilità ha trovato compimento il disegno di Dio di donare la salvezza a tutti gli uomini: “Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”. In Cristo troviamo un cuore d’uomo totalmente docile a Dio e totalmente solidale con gli uomini. La gioia cristiana del Natale deriva dalla certezza che per l’obbedienza del Figlio di Dio ci è stato fatto conoscere e ci è stato donato “una volta per sempre” il perdono dei peccati. Tutta l’esistenza di amore di Gesù, giunta fino al dono totale di sé nella morte di croce, è diventata l’offerta gradita a Dio per la nostra salvezza. Disponiamoci ad accogliere il Figlio di Dio come causa della nostra salvezza e modello di obbedienza a Dio e di solidarietà con gli altri uomini.

Lc 1,39-45. “Ha guardato all’umiltà della sua serva”.

Due semplici donne, di due sperduti villaggi della Galilea e della Giudea, per grazia di Dio, si trovano coinvolte in maniera straordinaria in una maternità insperata o inattesa. La comune maternità e il legame di sangue è occasione dell’incontro nel quale Dio rivela alle due donne il suo disegno di salvezza: nel seno di Elisabetta il bambino sobbalza di gioia perché percepisce la presenza stessa del Signore nel bambino che è nel seno di Maria, definita da Elisabetta “madre del mio Signore”. Proprio Elisabetta, che tutti con un certo disprezzo dicevano “sterile”, diventa annunciatrice del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. E Maria sente confermare quell’annuncio a cui con grande umiltà, fiducia ed obbedienza aveva aderito, in attesa di comprenderlo pienamente man mano che lo avrebbe vissuto: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore ha detto”, dirà Elisabetta di Maria. Sappiamo che quell’incontro si conclude con il cantico di Maria, il ‘Magnificat’, esclamazione di gioia profonda, così motivata: “Perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. Con questo quadretto Luca ha dato volto a tre di quei piccoli e poveri (Maria, Elisabetta, Giovanni) di cui Gesù ha esclamato: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del Cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli“(Lc10,21). La gioia del Natale nasce dallo scoprire che il Signore si fa presenza nella nostra condizione umana piena di limiti e problemi, condizione nella quale possiamo fare esperienza del suo amore pieno di misericordia.      

+ Adriano Tessarollo