Abbracciati dalla misericordia

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lo sguardo pastorale

Abbracciati dalla misericordia

L’invito che in questi giorni rivolgiamo ai fedeli di partecipare alla Messa di mezzanotte ha lo spessore del canto degli angeli che rivelano ai pastori un evento inaudito capace di cambiare la loro vita e il corso della storia. Perché li invitiamo? Che cosa troveranno? Li invitiamo perché sappiamo che sono in ricerca, anzi perché partecipiamo al loro smarrimento, alla loro paura, e insieme coltiviamo la speranza che Dio non si sia ancora stancato degli uomini. Troveranno un bambino neonato con le braccia aperte, posto in una culla di paglia, per lo più all’interno di una mangiatoia per gli animali, e in loro compagnia. Secondo la nostra cultura efficientista tutto questo può risultare un bluff. Ti aspetti forza e trovi debolezza, ti aspetti certezze e trovi fragilità, ti aspetti giustizia e trovi misericordia. Ma secondo il linguaggio della fede ci troviamo invece di fronte alla rivelazione più grande: il nostro Dio non incute timore, egli ci conquista con la sua tenerezza; il nostro Dio non usa violenza, vince il male con il bene; il nostro Dio non ha nemici, il suo nome è la pace. Egli smonta l’orgoglio e la prepotenza, mostra la forza dell’umiltà e della semplicità. Questo Dio ha un nome, un nome che è anche un programma, un programma scritto non con l’inchiostro ma con il sangue: si chiama Amore. Un Bambino che giace nella povertà di una mangiatoia: questo è il segno di Dio. Passano i secoli ed i millenni, ma il segno rimane, e vale anche per noi, uomini e donne del terzo millennio.

È segno di speranza per l’intera famiglia umana: segno di pace per quanti soffrono a causa di ogni genere di conflitti; segno di misericordia per chi è chiuso nel circolo vizioso del peccato; segno d’amore e di conforto per chi si sente solo e abbandonato. Segno piccolo e fragile, umile e silenzioso, ma ricco della potenza di Dio, che per amore si è fatto uomo. Sarà un incontro che porterà frutto nella vita personale e della comunità se sapremo prendere sul serio questo segno. Dal punto di vista pastorale, infatti, è fondamentale rendere eloquente questo segno non solo dal punto di vista liturgico ma anche nella vita della comunità cristiana. Ancora una volta il nostro Dio si propone con i segni della tenerezza e della misericordia: un neonato con le braccia aperte. Nella comunità si chiamerà semplicità, gratuità, umiltà, accoglienza, povertà, generosità. Lo potranno riconoscere i fratelli immigrati, lo comprenderanno i capifamiglia rimasti senza lavoro, lo sperimenteranno le famiglie dilaniate da incomprensioni e rancori, lo toccheranno con mano le persone sole, senza speranza, arrese alla schiavitù del vizio, soffocate dal peccato… nella misura in cui qualcuno, a nome del Vangelo, aprirà loro le proprie braccia. Alla fine della celebrazione eucaristica del Natale baceremo il bambinello perché il bacio è segno di accoglienza, di comunione, di affetto. Con lo stesso gesto ci lasceremo stringere dalle braccia aperte di Gesù, le stesse braccia aperte sulla croce, segno della misericordia di Dio che sempre ci attira a sé e ci dona il suo cuore. Lasciamoci abbracciare, lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare e questo amore venga ad abitare in noi e trasformi la nostra vita.

don Francesco Zenna