Il foro competente

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NUOVE NORME. Matrimonio fallito e misericordia (3)

Il foro competente

Papa Francesco, con il Motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus, ha dato innovative regole per il processo sulla nullità del matrimonio. Gli effetti civili non toccano la sostanza del matrimonio né le sue proprietà essenziali, come ad esempio il regime economico, la dote, le successioni, il nome, ecc. Le cause per tali atti sono di competenza del magistrato civile, tranne che per due casi marginali.

Conclusa l’indagine pregiudiziale, la domanda di nullità va inoltrata a un giudice ecclesiastico, anche se solo uno dei due è battezzato. È la diretta conseguenza del carattere sacro del matrimonio, elevato da Cristo a dignità di Sacramento.

Il giudice ecclesiastico può essere scelto liberamente tra uno dei tre che ha competenza.

1) Il tribunale del luogo dove il matrimonio è stato celebrato (di regola un atto è giudicato dal tribunale del luogo in cui tale atto è stato compiuto). In altre parole, se una persona si è sposata a Chioggia, il tribunale di questa Diocesi può trattare e definire la causa.

2) Il tribunale dove tutti e due o uno dei due ha il domicilio (non è la residenza). Ad esempio, la persona è residente a Ferrara e lì si è sposata, ma è domiciliata a Chioggia, il tribunale di questa Diocesi può trattare e definire la causa.

3) Il tribunale dove, di fatto, si devono raccogliere la maggior parte delle prove. La persona si è sposata a Rovigo ma vive a Firenze, l’altra vive a Padova. Gli episodi o le prove determinanti la separazione e da raccogliere, di fatto, sono a Chioggia, il tribunale di questa Diocesi può trattare e definire la causa.

Se una diocesi non ha un proprio tribunale, il Vescovo deve formare “quanto prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, persone che possano prestare la loro opera nel tribunale per le cause matrimoniali da costituirsi” (regole, art. 8).

In caso di vere difficoltà a costituire il tribunale, gli è riconosciuta la facoltà di rivolgersi ad un tribunale diocesano vicino o interdiocesano. Se nemmeno quelle vicino ci sono riuscite a costituire (mettere in piedi) un tribunale collegiale, affida la causa ad un giudice unico, che deve essere obbligatoriamente un sacerdote, al quale affiancherà due persone (detti assessori) di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane.

Deciso a quale tribunale rivolgersi, la domanda (il libello) va spedito o consegnato al Vescovo della diocesi di quel tribunale.

È lui, infatti, il giudice di prima istanza (primo grado) e può giudicare personalmente o per mezzo di altri.

Per le cause ordinarie, cioè che non rientrano nei casi di processo breve o documentale, il tribunale deve essere collegiale, cioè composta da tre giudici.

Dato che il Vescovo non può procedere all’esame di alcuna causa senza la presentazione della relativa domanda, consegue che per aprire un processo va presentato il libello corredato dai documenti stabiliti dal tribunale.

Il libello può essere presentato dai coniugi, che sono le persone interessate, siano o no cattolici o battezzati. Oppure dal promotore di giustizia (corrisponde più o meno al Pubblico Ministero) ma solo nel caso in cui la nullità sia già stata divulgata, se non si possa convalidare il matrimonio o non sia opportuno.

Ci sono due casi particolari da considerare. Il primo: se il matrimonio non è stato messo in discussione mentre i coniugi erano in vita, non può esserlo dopo la morte di entrambi o di uno dei due, a meno che sia legato alla soluzione di un’altra controversia canonica o civile. Il secondo caso: se il coniuge muore durante il processo, prima che la causa sia conclusa, l’istanza viene sospesa finché l’altro coniuge o un altro interessato (legittimo) richieda la prosecuzione; se invece la causa è già conclusa, il giudice procede agli atti ulteriori.             

don Lucio Pollini

(3. segue)