L’arte di annunciare

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LO SGUARDO PASTORALE

L’arte di annunciare

Già Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi scriveva che «rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo è il compito fondamentale» affidato alla Chiesa dal suo Fondatore. L’evangelizzazione, perciò, è il compito prioritario delle nostre comunità parrocchiali; sta alla base di tutto e ha il primato su tutto. Nel passato l’annuncio è stato interpretato come modalità di espansione della comunità dei credenti, con l’aggregazione di nuovi battezzati e il conseguente allargamento della sfera di influenza sulla società attraverso la formazione delle loro coscienze. L’annuncio è chiamato a svilupparsi in termini diversi.

La comunità inizia con l’evangelizzare se stessa. Essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, per essere sempre pronta “a rendere ragione della speranza” che la abita. Ha sempre bisogno di essere evangelizzata se vuole conservare la freschezza del dono ricevuto.

La comunità poi, depositaria della buona novella che deve annunciare, conserva l’insegnamento del Signore e degli Apostoli come un deposito vivente e prezioso, ne sviluppa le conseguenze esistenziali, ne testimonia la forza trasformatrice della società.

Tutti i membri della Chiesa, e non solo i presbiteri e i consacrati, sono chiamati (vocazione) e mandati (missione) per essere annunciatori del Vangelo, abilitati dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo.

La prima e più importante forma dell’annuncio, affermano i vescovi italiani nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, consiste nel seguire «lo stile del Signore Gesù, il primo e più grande evangelizzatore» che comunica il suo messaggio prendendosi cura.

Ogni cristiano deve disporsi a essere, nel suo ambiente, un operatore dell’evangelizzazione facendo proprio questo stile.

Non basta quindi la trasmissione dei contenuti dottrinali ma è necessario prendere per mano e coinvolgere in un’autentica esperienza di vita evangelica. Soprattutto i ragazzi, ma anche le loro famiglie, hanno bisogno infatti di “sperimentare” la fede come “cura” per tutto l’umano in ognuna delle sue espressioni.

Proprio il verbo “comunicare” dice più di ogni altro lo spirito dell’annuncio: la condivisione serena e feriale di quanto si crede e si vive. La preparazione dei sacramenti, anche del battesimo dei figli e del matrimonio, viene fatta ormai attraverso un rapporto personale con gli interessati; il coinvolgimento dei laici in questo servizio, per lo più domiciliare, non va inteso come supplenza alla carenza di presbiteri, ma come risorsa fondamentale per un confronto della vita e degli ideali che ne guidano le scelte.

Anche le altre forme di annuncio, quali le catechesi pubbliche, con o senza la Parola di Dio, non avranno più il carattere della conferenza e della lezione, ma lo spessore del dialogo esistenziale sulle dinamiche personali, familiari e sociali dove si incarna la fede.

Nell’impegno dell’annuncio trova un rinnovato spazio oggi anche la direzione spirituale, interpretata come ricerca, condivisione e discernimento.

E il linguaggio, la postura fisica e psicologica, l’empatia, l’ascolto, il rispetto…? Non sentiamoci già maestri dell’annuncio!

don Francesco Zenna