Regno che non è di questo mondo

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PAROLA DI DIO  – Domenica XXXIV – Solennità di Cristo Re dell’universo

Letture: Dn 7,13-14; Salmo 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37

Regno che non è di questo mondo

Dn 7,13-14: “Il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai”.

Vengono proposti due versetti del cap. 7 del libro di Daniele. Domenica scorsa l’attenzione era rivolta sulla sorte degli uomini alla venuta del Regno, oggi l’attenzione è incentrata sul Regno e su Colui che ne detiene il potere. Dopo una serie di visioni che riguardano quattro regni umani, rappresentati con simboli animali (leone-aquila, orso, pantera o leopardo e una bestia innominata da cui esce un piccolo corno simbolo di una realtà particolarmente violenta), alla fine appare un “Vegliardo” (o Vecchio Venerando) che giudicherà questi regni e farà regnare “uno simile ad un figlio d’uomo”. Chi rappresentano il Vegliardo dei vv. 9-10 e il Figlio dell’uomo dei vv. 13-14? Il “Vegliardo” è senz’altro da identificare con Dio nella sua funzione di giudice del mondo: la visione ha tutti i caratteri di una teofania. Del ‘figlio dell’uomo’ che riceve dal “Vegliardo” il potere sul regno eterno che non sarà mai distrutto si dice che “appare sulle nubi del cielo” e che “fu presentato a lui” o “fu fatto avvicinare a lui”. Questi due elementi lascerebbero pensare ad un personaggio pure celeste e che è associato al potere del ‘Vegliardo’. Più avanti al v.27, dove viene interpretata la visione si dice che “il regno, il potere e la grandezza… furono dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno…”. Mettendo insieme vari elementi si può concludere che il ‘figlio dell’uomo’ adombra un personaggio celeste cui Dio affida il regno, non più terrestre (come quello di Davide) ma futuro ed eterno. Di tale regno farà parte il popolo dei fedeli del Signore. Gesù interpreterà la sua figura e la sua missione su questa linea: Egli è il messia e giudice ultimo, che inaugurerà il Regno di Dio, cui avranno parte, senza distinzione, quanti praticheranno la giustizia.

 

Salmo 92. “Il Signore regna, si veste di splendore”.

Un salmo di intronizzazione commenta la prima lettura: “Il Signore regna”. Le immagini successive sono per descrivere il re e il regno. Il re non riceve l’investitura da nessuno. È lui che si costituisce re e si intronizza. Sotto il suo potere e custodia il mondo resterà saldo. La forza degli elementi fisici non riuscirà a minacciare il suo dominio: egli, eterno, darà stabilità al Regno stesso.

L’“insegnamento” e la “casa” qualificano la sua azione e la sua relazione con gli uomini che lo riconoscono: sono insegnamenti “degni di fede” e lo stare presso di lui nella sua “casa” rende partecipi della sua “santità”, “per la durata dei giorni”.

Ap 1,5-8: “Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà”.

Questa lettura si apre tracciando la prima identità di Cristo, riconoscendogli tre titoli: “testimone fedele, primogenito dei morti, sovrano dei re delle terra”. In quanto testimone fedele Gesù è credibile perché ha insegnato la volontà del Padre con le parole e con la vita offerta fino alla morte; in quanto primogenito dei morti egli è associato alla drammatica esperienza della morte per offrirci la vita eterna; in quanto sovrano dei re della terra è capace di vincere i poteri terreni che seminano ingiustizia, sofferenza e morte. La comunità accoglie questo annuncio rendendo gloria a Cristo: “A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”, motivando il rendimento di grazie per la triplice azione salvifica da Lui operata: “*A colui che ci ama, *che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, *che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”. L’azione di Cristo è continuamente presente: “ci ama”. Ha avuto una sua realizzazione storica come gesto di liberazione pagata col prezzo personale del suo sangue: “ci ha liberati dai nostri peccati”. Il peccato è visto qui come qualcosa che ci teneva schiavi da cui Egli ci ha liberati, rendendoci così idonei a stare alla sua presenza nella nuova qualità “di sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Segue un secondo annuncio nel v.7, che risulta dalla combinazione di due testi profetici: Dn 7,13 e Zc 12,10. Gesù Cristo è così identificato nel ‘Figlio dell’uomo’ che viene come il giudice glorioso di Daniele e come il ‘Grande Trafitto’ di Zaccaria. Il Cristo è insieme messia glorioso e sofferente, è il crocifisso risorto, esaltato e intronizzato. È anche annunciata la prospettiva di un riconoscimento messianico di quanti lo hanno osteggiato e continuano a osteggiarlo e a rifiutarlo. A questa nuova rivelazione l’assemblea risponde con l’adesione di fede: “Sì. Amen!”. Un terzo oracolo, al v.8, conclude la rivelazione di Dio che si definisce come al v. 4 “Colui che è, che era e che viene”. Vi sono però due elementi nuovi in apertura: “Io sono l’Alfa e l’Omega”. La prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco significano l’inizio e la fine di qualsiasi cosa che possa essere fatta, detta o scritta: dunque il messaggio dichiara che Dio è l’inizio e la fine di tutta la storia e della rivelazione, Colui che tutto può, “l’Onnipotente”.

Gv 18,33b-37: “Il mio Regno non è di questo mondo”.

La liturgia prende dal vangelo di Giovanni il brano centrale del processo di Gesù davanti a Pilato incentrato sul tema della regalità. Il governatore romano apre l’interrogatorio chiedendo a Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”. La risposta di Gesù arriva per gradi. Dapprima la risposta sembra evasiva, ma in realtà vuole coinvolgere Pilato di fronte ad un fatto che riguarda ogni uomo, anche un non giudeo. Pilato non vuole lasciarsi coinvolgere di fronte a quest’evento che anch’egli si trova a vivere e che potrebbe essere per lui una vera opportunità: “Dici questo da te oppure altri ti hanno parlato di me?”. A questo punto, Pilato e ogni lettore deve prendere posizione di fronte a Gesù e non lasciarsi guidare dalle dicerie degli avversari di Gesù! Pilato si sottrae ad ogni ricerca e ad ogni impegno personale, diventa addirittura polemico, lasciando intendere che neanche la sua gente lo capisce, neppure chi in materia dovrebbe essere esperto come i sommi sacerdoti. A questo punto Gesù chiarisce apertamente la natura del suo regno e della sua regalità: “Il mio regno non è di questo mondo… il mio regno non è di quaggiù”. Troppi sono andati dietro a Gesù illusi di attendersi i vantaggi di un potere temporale ed interessi di carattere materiale. Gesù annuncia di avere orizzonti e programmi ben diversi. Avrebbe anche dei servitori pronti ad intervenire se fosse in pericolo la sua autentica e vera missione! Di fronte ad una seconda domanda di Pilato, Gesù passa ora a definire la sua modalità diversa di essere re e definisce il senso del suo essere entrato nel mondo degli uomini facendosi lui stesso uomo: “per rendere testimonianza alla verità”. Gesù viene da Dio e può quindi portare all’umanità la rivelazione del senso ultimo di tutta la storia ma anche dare loro la capacità di vivere in conformità con la volontà del Padre. Con la sua morte e risurrezione Gesù renderà testimonianza che Dio è amore e che è Signore della vita piena anche oltre la morte. Chi ha fatto l’opzione per la verità, cioè per la rivelazione di Dio e della sua volontà, sarà capace di accogliere Gesù e la sua parola che da Dio discendono.

+ Adriano Tessarollo