Abitare attivamente

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Lo sguARDO PASTORALE

Abitare attivamente

Vedo profilarsi all’orizzonte di questa nostra storia, ancora una volta ferita dalle conseguenze di una chiara immaturità umana, sociale culturale e religiosa, la voglia di fuggire o di rinchiudersi, l’istinto a reagire con gli stessi mezzi, il pericolo dell’affanno irrazionale che alimenta la paura. Cosa insegneremo ai nostri figli? A rifugiarsi nel virtuale e sfogare la propria rabbia con gli attacchi dei supereroi che con la playstation riproducono ormai come gioco anche i fatti delittuosi delle prime due guerre mondiali? È una sfida pastorale da raccogliere, senza perdere la corsa. Protagonista ancora una volta è la comunità cristiana.

La comunità cristiana è chiamata ad abitare la propria città, ad entrare dentro le pieghe delle sue dinamiche umane, sociali, economiche, politiche, civili, istituzionali, ecologiche… per portarvi la novità del proprio vissuto. Mi viene in mente la preghiera semplice di San Francesco: «Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace. Dov’è odio, fa’ che io porti l’amore; dov’è offesa, che io porti il perdono; dov’è discordia, che io porti l’armonia; dov’è errore, che io porti la verità; dov’è dubbio, che io porti la fede; dov’è disperazione, che io porti la speranza; dove sono le tenebre, che io porti la luce; dov’è tristezza, che io porti la gioia». Per il santo di Assisi non si tratta di editare una ideologia alternativa, come sappiamo, ma di contribuire alla costruzione di un nuovo umanesimo con il peso della propria esperienza di vita.

«Signore, fa’ che io non cerchi di essere consolato, quanto di consolare; di essere compreso, quanto di comprendere; di essere amato, quanto di amare. Perché è dando che si riceve. È perdonando che si è perdonati. È morendo che si risuscita a vita eterna». Abitare vuol dire anche pagare di persona le fatiche e le contraddizioni, tuffarsi profeticamente tra le onde, senza rifugiarsi nelle acque tranquille delle proprie appartenenze. Apparteniamo alla storia, quella di oggi, quella del nostro paese, e al suo interno la fede ci guida nella ricerca dei “segni” del regno che viene.

L’autoreferenzialità, ci spiega Papa Francesco, che ci fa dire – ad esempio – “io sono di…”, ci porta a guardare dall’alto, a giudicare dall’esterno, a toccare con i guanti.

Gesù non si vergogna di lasciarsi non solo avvicinare, ma anche toccare dalla città del suo tempo, tutta intera, compresa la periferia. Preferisce i peccatori a coloro che si ritengono “a posto”. Dio si lascia toccare il cuore dall’uomo segnato dal peccato. La comunità cristiana, come dice il termine stesso “parrocchia”, è chiamata a vivere questa relazione abitando tra le case degli uomini, permettendo al Risorto di non mancare nelle differenti realtà del palcoscenico della storia.

Il Concilio Vaticano II ha dedicato una Costituzione, quella pastorale Gaudium et Spes, all’approfondimento di questo percorso missionario: né sopra, né davanti, ma dentro; né supremazia, né sottomissione, ma compagnia. La “scelta religiosa”, fatta dalla storica associazione dell’Azione Cattolica subito dopo il Concilio, ci ha aperto gli occhi di fronte al male del collateralismo politico, ma non ci ha chiuso nelle sacrestie, e ha promosso un laicato impegnato direttamente senza spazi di potere da difendere.

don Francesco Zenna