PAROLA DI DIO – È grande colui che si fa servo

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PAROLA DI DIO – È grande colui che si fa servo

Letture: Is 53,10-11; Salmo 32; Ebr 4,14-16; Mc 10,35-45

Is 53,10-11. “Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità”.

Il profeta Isaia annuncia l’opera di un personaggio in certo modo misterioso, Servo del Signore e da Lui favorito. Su di Lui ha effuso il suo Spirito (42,1) per una grande missione: essere strumento dell’alleanza definitiva (42,6), essere ‘luce dei popoli’ (49,6), insegnare loro il ‘diritto’ (42,24), ma  il suo destino sarà di non essere riconosciuto durante la sua vita, e per questo oltraggiato, perseguitato, ucciso (53,5). In particolare la sua sofferenza portata con fede coraggiosa è a vantaggio di tutti i popoli. Oggi appunto ascoltiamo questo annuncio: l’umiliazione-esaltazione a cui il Servo del Signore è sottoposto sarà causa del rinascere della nuova comunità, una comunità di salvati grazie a Lui. In questo personaggio è prefigurata la persona e la missione del Messia di Nazaret, luce delle genti, salvezza del suo popolo, che con la sua passione, morte (umiliazione) e risurrezione (esaltazione) è divenuto capo di una nuova ‘discendenza’, che egli ha “giustificato, prendendo su di sé le loro iniquità”

Salmo 32.“Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo”.

Dei motivi per cui lodare il Signore la liturgia odierna ne sceglie tre. “Retta è la parola del Signore / e fedele ogni sua opera”: la Parola di Dio è il punto sicuro su cui si può contare e il suo agire è fedele a quanto detto e promesso. “Egli ama il diritto e la giustizia / della sua grazia è piena la terra”: il Dio che si è rivelato nella storia è un Dio che si compiace del diritto e della giustizia, che non è indifferente ad essi, che ad essi lui stesso si attiene e lo stesso richiede agli uomini; Egli poi non è assente dalla terra ma la riempie con la sua presenza di amore gratuito e misericordioso. “Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme / su chi spera nella sua grazia / per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame”: l’orante si sente sotto lo sguardo di Dio, uno sguardo premuroso che preserva dai pericoli e soccorre nelle necessità vitali. La preghiera è confessione e riconoscimento di quello che il Signore è e fa, è espressione di lode e di ammirazione per lui, è apertura di credito e di fiducia in Lui. La conclusione invita all’attesa che il Signore venga per poter ancora esperimentarlo come “aiuto e scudo” e godere della sua benevolenza.

Ebr 4,14-16. “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia”.

Questa breve pericope (4,14-16) si apre con una robusta confessione di fede che dà fondamento a tutto il resto dell’argomentazione: “Abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio”.  La nuova comunità cristiana può contare su un ‘grande sommo sacerdote’ la cui grandezza emerge dal fatto che entra e apre all’uomo non un santuario terrestre ma quello celeste (ha attraversato i cieli), la sua azione quindi non è di ordine rituale ma reale. Il suo nome è Gesù, l’uomo vissuto a Nazaret ma riconosciuto ‘Figlio di Dio’, titolo con il quale si riconosce la sua qualità divina, grazie alla quale ha potuto entrare nei cieli Lui e rendere accessibile anche a noi la comunione con Dio. Questa è la nostra professione di fede in Gesù Cristo che dobbiamo tenere ben salda! Ma questo Gesù è lontano da noi ora che è “entrato nei cieli”? No, Egli rimane il sommo sacerdote che sa sentire compassione, ‘prendere parte alle nostre debolezze” perché “egli stesso  è stato messo alla prova in ogni cosa come noi”, proprio come tocca a qualsiasi uomo su questa terra. L’autore sa che fa parte della condizione umana anche l’infedeltà nel momento della prova e allora subito precisa: “escluso il peccato”. L’assimilazione di Gesù ai fratelli è totale, ma non include il peccato che crea la separazione degli uomini da Dio e non crea una vera solidarietà tra di loro. La sicurezza della nostra professione di fede in Cristo Gesù fa scaturire l’invito: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono…”. E’ grazie a Cristo che noi possiamo avvicinarci con fiducia, anzi con sicurezza, al trono di Dio; è il trono della sua santità tremenda, come ricorda Is 6,15, ma ora, appunto grazie a Cristo Gesù, è diventato per noi il trono della grazia e della misericordia, dal quale discende l’aiuto necessario al momento della prova.

Mc 10,35-45. “Chi vuol essere grande… si farà vostro servitore”.

E’ l’ultimo grande insegnamento di Gesù ai discepoli sulla ‘via di Gerusalemme”. Per la terza volta afferma che a Gerusalemme subirà la passione e la morte da parte degli uomini, a causa del suo annuncio del regno di Dio e delle sue radicali esigenze e della pubblica denuncia dell’infedeltà del popolo e dei suoi capi; ma Dio lo risusciterà il terzo giorno. La prospettiva della risurrezione compresa come ‘gloria’ provoca un’istintiva richiesta di Giovanni e Giacomo: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. In risposta, Gesù rinnova la richiesta della loro disponibilità a seguirlo e imitarlo sulla via della croce, invitandoli poi ad attendere dal Padre la loro ricompensa. La discussione successiva tra gli apostoli evidenzia la tentazione di sempre di chi accetta un ruolo di servizio: di trasformare l’autorità in potere, l’autorevolezza in autoritarismo, disposti sì ad accollarci tante fatiche e affanni, ma più o meno dichiaratamente, o anche più o meno inconsapevolmente, mossi dall’amore dei primi posti, dalla voglia di comandare e di realizzare più i nostri pensieri e progetti che perseguire il bene degli altri e i comandi del vangelo. Ecclesiastici o laici, impegnati nelle istituzioni ecclesiali, sociali e politiche, siamo tutti soggetti alla medesima ‘seduzione’. Bisogna avere il coraggio di prendere le distanze dall’atteggiamento comune. Gesù dice con forza: “Tra voi però non è così; ma chi vuol diventare grande tra voi, sarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. E perché non ci sia il rischio di equivocare sul senso del servizio, mascherato in potere o padronanza, Gesù offre il modello con cui confrontarsi continuamente: “Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Gesù non ha preteso il servizio dagli altri, ma lo ha reso loro a prezzo della sua passione e morte affrontate per loro amore.                                   + Adriano